Da La Repubblica del 10 giugno
Archeologo consacrato dagli scavi e dall’accademia, con una vastissima biografia alle spalle Andrea Carandini si è imbattuto, «tardivamente» – confessa qualche rimpianto – nel pensiero di Isaiah Berlin, il grande autore russo, di Riga, ebreo, poi inglese, scomparso nel 1997. Il ritardo ha reso l’impatto più forte e forse anche più efficace, come e un inatteso giacimento di resti antichi che costringe a ridisegnare le mappe conosciute. Ne è nato un seducente Paesaggio di idee. Tre anni con Isaiah Berlin (Rubbettino), che è insieme racconto di una scoperta e guida sapiente a un liberalismo aggiornato alle tempeste culturali del nostro tempo.
L’incontro con questo straordinario storico delle idee e con il suo «pluralismo dei valori» costringe chiunque, presto o tardi, a fare e rifare i conti con la propria visione del mondo, specialmente quando si affronta il Berlin di Controcorrente, l’«anti-illuminista», quello che generalmente la cultura liberal, progressista, italiana (e non solo) ha faticato a comprendere a causa dello sconcerto in cui Sir Isaiah amava gettare i cultori dei Lumi, i devoti di Voltaire e Condorcet. Perché proprio lui, nemico dell’utopia sociale perfezionista, kantiano fino in fondo e tenacemente affezionato all’idea kantiana del «legno storto» (del quale l’umanità è fatta, per cui non se ne caverà «mai niente di interamente diritto»), proponeva poi quasi come un suo eroe Johann Georg Hamann, il concittadino di Koenigsberg, che di Kant fu un accanito avversario filosofico? Perché tanto interesse e tanta curiosità per i nemicí del razionalismo e per i precursori dello storicismo come Vico, Herder e tutto lo Sturm und Drang?
La verità è che quell’aggettivo, «anti-illuminista», che Berlin indossava con divertimento, va messo tra molte virgolette perché alla fine si rivelerà proprio sbagliato, ovvero una sottile astuzia da scrittore, un artificio narrativo per smascherare il «monismo» degli illuministi, e cioè la convinzione che a tante domande di verità, di giustizia, di bene vi sia poi sempre una unica risposta; la certezza, sottintesa, che il tracciato della ricerca di questa verità, non importa quanto lunga (è la philosophia perennis), sia poi destinata ad avvicinarsi a un unico approdo: una la verità, molti gli errori. Al contrario con il Machiavelli di Berlin, con il suo Vico e il suo Herder, la scoperta spaesante è quella che diverse sono le verità, in cui diverse culture si imbattono, e sempre uno solo l’errore di considerare la propria un valore esclusivo, «superiore». Diverse sono le virtù e le idee di bene che diversi popoli e diverse epoche tengono in alta considerazione. E così il conflitto che troviamo dietro ogni angolo non è tra il bene e il male, ma tra diverse interpretazioni, diverse preferenze per i beni, i valori, le virtù più alte.
Carandini ha percorso tutto il cammino che conduce alla scoperta della funzione critica che Berlin attribuisce al Romanticismo e gli ha dedicato tre anni di intenso approfondimento. La professione di «dilettantismo» che l’autore esibisce va presa dunque decisamente come la civetteria di un professionista del lavoro intellettuale, storico oltre che archeologo. Del resto anche Berlin, che nella sua vita si impegnò in varie discipline – critica letteraria, filosofia politica, storia e storia delle idee, per non dire del suo lavoro per l’intelligence britannica nel tempo di guerra-si definiva un dilettante, anche se lasciava spesso un segno più forte di tanti specialisti in varie discipline.
Il fatto è questo volume si offre ora come una lettura ricca e completa del nucleo più caldo del pluralismo culturale berliniano e dei suoi maggiori interpreti (belle pagine sul rapporto Bobbio-Berlin, splendida la stroncatura della polemica anti-Berlin di Zeev Sternhell) ed apre lo sguardo verso gli sviluppi possibili di un liberalismo pluralista e agonistico, riallineato ai tempi e non viziato dal «monismo», eurocentrico, delle sue versioni convenzionali. Il libro orienta anche il lettore tra gli sviluppi del liberalismo post-Berlin di Joseph Raz e John Gray, ma soprattutto ha il merito dí incorporare e far sua la narrativa travolgente con cui Berlin «sceneggiava» le sue scoperte, nel paesaggio delle idee, con tutte le conseguenze che esse avevano e avranno.
di Giancarlo Bosetti
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