Da libero.it
Prosegue con l’uscita di “Sindrome Calimero – Per l’Italia che corre contro quella che le sega le gambe” (Rubbettino Editore, Pagine 236, Prezzo di copertina 15) la strigliata di Davide Giacalone agli italiani. L’autore sarà ospite sabato 23 gennaio 2016 alle ore 17,30 nel teatro del Centro congressi Giovanni 23mo di Belluno per la rassegna culturale “I grandi incontri di Liberai” con moderatore Roberto Papetti, direttore de II Gazzettino.
L’ultimo libro di Giacalone prosegue il filone iniziato nel 2009 con Good morning Italia! nel quale aveva definito l’Italia un Paese addormentato da troppo tempo in un immobilismo nato con Tangentopoli. Nel 2014 ha pubblicato Senza paura – Per non perdere il bello di un mondo migliore dove ha individuato le paure collettive degli italiani. Con “Sindrome di Calimero” Giacalone tenta una iniezione di autostima a quel Calimero perdente, solo perché si sente tale.
Abbiamo chiesto all’autore qualche dettaglio su questo suo ultimo lavoro.
Dottor Giacalone, c’eravamo lasciati un anno fa, alla presentazione del suo libro Senza paura – Per non perdere il bello di un mondo migliore con l’auspicio di guardare ai temi dell’immigrazione e più in generale della crescita e dello sviluppo con maggiore ottimismo. Ma il numero crescente di sbarchi, le barriere erette dagli stati europei e i fatti di capodanno nelle città tedesche ci autorizzano ancora all’ottimismo?
L’ottimismo porta male assai, se unito all’immobilismo. Un anno fa parlammo delle cose che si sarebbero dovute fare, presentando proposte concrete. Una di quelle, una comune polizia europea di frontiera, emerge solo oggi, con tanto tempo che si è perso. E tanti errori fatti, compreso quello della Germania, che non ha frontiere esterne all’Ue, che ha preteso di aprire selettivamente le proprie. Ma anche la sola polizia comune non può funzionare, senza una comune giurisdizione. Capaci di distinguere i profughi, che nei limiti del possibile, si ha il dovere di accogliere, e gli emigranti, che si fanno entrare solo se conveniente. Espellendo o fermando gli altri. Credevo e credo che questi problemi possano essere governanti con saggezza e profittevolmente. Se sgovernanti, invece, innescano paure e danni. Anche gravi.
Nella prefazione del suo ultimo libro parla di un’Italia vista dall’esterno che pare impossibile sia in crisi, mentre vista dall’interno non si capisce come possa reggersi in piedi. Con aziende fiorenti e altre affossate. Qual è il denominatore comune di chi ha vinto la crisi e di chi non ce l’ha fatta?
Chi ha vinto ha creduto di potere gareggiare grazie alle proprie qualità e al proprio impegno. Chi ha perso ha creduto di potere continuare a galleggiare, facendosi mantenere dagli altri. Aiutato da chi pensa che Iltalia possa divenire una Repubblica dei bonus a nulla.
Oggi l’Italia è vittima della sindrome di Calimero, o c’è qualcosa di più in atto. Come ad esempio una strategia dei Paesi leader, attraverso l’euro, d’impossessarsi dell’argenteria di famiglia del nostro paese.
Il danno che facciamo a noi stessi è superiore a quello provocato da altri. La competizione dovrebbe aiutare a selezionare i migliori, capaci di puntare anche ai mercati altrui. Se avviene il contrario è perché si continuano a mantenere i peggiori, consolandosi con una sconsolante autocommiserazione. Il tentativo, poi, di dare la colpa ad altri è una vetta di menzogna e viltà.
Quanto conta il ruolo della nostra classe dirigente nella scacchiera economica europea?
Bella domanda. Faccio un esempio concreto: italiani sono alla guida delle più grandi compagnie di telecomunicazione, ma quella italiana è piegata e piagata, scalabile da altri. Italiana è la guida dell’istituzione europea meglio riuscita e operante, la Banca centrale europea. La classe dirigente italiana dà il peggio di sé quando si tratta di guidare l’ltalia. Non è una maledizione o un destino, ma solo il frutto di un sistema che selezione al contrario, di demagogie parolaie che promuovono più i ciarlieri che non i capaci.
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