Da Il Foglio del 15 aprile
“Il governo aveva annunciato un finanziamento alle scuole libere, ne è uscita una misera elemosina. Siamo ancora prigionieri dell’idea che è buono solo ciò che pubblico ed è pubblico solo ciò che è statale”. Dario Antiseri, filosofo liberale, quando parla di “scuole libere” intende quelle che comunemente vengono definite “scuole private” (o più correttamente paritarie) e quando parla degli annunci del governo Renzi si riferisce alle parole del ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, che lo scorso anno dichiarava che “la libertà di scelta educativa è un principio europeo di grande civiltà”, le scuole statali e paritarie “devono avere uguali diritti”. Di questo non c’è traccia nella “Buona scuola”, il ddl presentato dal governo che rischia di essere nient’altro che l’ennesima infornata senza concorso di centinaia di migliaia di precari. Antiseri alla riforma del governo Renzi avrebbe cambiato solo una vocale, l’avrebbe chiamata “il Buono scuola”, riproponendo l’idea lanciata per la prima volta dal premio Nobel per l’economia Milton Friedman: “Si tratta di un voucher non negoziabile che le famiglie spendono nelle scuole in cui vogliono iscrivere i propri figli. Se una scuola non funziona per loro figlio i genitori ne sceglieranno un’altra e sotto la pressione della competizione migliorerebbero sia le scuole di stato che quelle non statali”. Il filosofo ha messo la sua idea di riforma del sistema educativo nero su bianco in un libro appena pubblicato per Rubbettino, “Il ‘buono-scuola’ per una ‘buona scuola”‘, in cui evidenzia come il punto cruciale non è il finanziamento alle scuole pubbliche o paritarie, ma il passaggio da un sistema monopolistico a uno di tipo concorrenziale: “Se all’interno del sistema formativo non si introducono linee di competizione, qualsiasi riforma della scuola si faccia sarà vanificata – dice Antiseri al Foglio – La ricerca scientifica è una competizione serrata tra idee, la democrazia è una competizione tra proposte politiche, la libera economia è una competizione nell’offerta di merci e servizi. La concorrenza è il principio che anima scienza, democrazia e mercato, mentre il monopolio conduce all’inefficienza e alla pigrizia. Chi vuole il buono scuola non è contro le scuole di stato, anzi le ama, sono un patrimonio che va salvato dallo statalismo”. Un’impostazione chiaramente liberale, propria di chi ha una certa familiarità con Friedman, Popper e Von Hayek. Ma tra i favorevoli alla libertà d’insegnamento ci sono anche padri nobili della sinistra come don Lorenzo Milani e Antonio Gramsci, non sospettabili di “neoliberismo”. Nella “Lettera a una professoressa”, il priore di Barbiana scrive: “Finora si diceva che la scuola statale è un progresso rispetto alla privata, ora bisognerà ripensarci e rimettere la scuola in mano d’altri. Di gente che abbia un motivo ideale di farla”. Anche Gramsci era preoccupato del monopolio statale sull’istruzione: “Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, della scuola lasciata all’iniziativa dei privati e dei comuni. La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente dal controllo dello stato. Dobbiamo conquistarci la libertà di creare la nostra scuola. I cattolici faranno altrettanto dove saranno in maggioranza: chi avrà più filo tesserà più tela”. Antiseri cita anche Luigi Einaudi, don Sturzo, Tocqueville, John Stuart Mill, Bertrand Russell e Gaetano Salvemini: “Il buono scuola è una garanzia di libertà – dice – perché chi paga per le scuole libere ha già pagato le tasse per le scuole statali, di cui non usufruisce. Uno stato che costringe i cittadini a pagare per ottenere pezzi di libertà è davvero uno stato liberale? Ho sempre cercato obiezioni valide al buono scuola, ma veramente non se ne vedono”. Un’obiezione frequente è che così si aiutano le famiglie ricche: “I ricchi i figli li mandano dove gli pare, sono i poveri che non possono farlo senza il buono scuola. Una volta in un dibattito un esponente del Pci disse apertamente che il buono scuola è una ‘carta di liberazione’ per le famiglie meno abbienti. Questo la sinistra e i laicisti non l’hanno mai capito”.
di Luciano Capone
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