Da Italia Oggi dell’8 gennaio
Se Silvio Berlusconi si riaffaccia sull’agone politico, tra i primissimi dopo la pausa natalizia, lanciando proclami fieri di riconquista, per capire la portata di quelle affermazioni ci vuole uno che il Cavaliere lo conosca bene. Vittorio Feltri, bergamasco, classe 1943, fa al caso nostro, perché ha fatto a lungo il direttore del Giornale di Paolo Berlusconi, di cui è oggi editorialista, ma, d’altra parte, è anche uno che non ha mai lesinato critiche al leader forzista, neppure quando aveva il vento in poppa.
Domanda.
Direttore, il Cavaliere è tornato ed è in grande forma.
Risposta. Sono contento per lui se sta bene, nonostante l’età e le traversie.
D. Dice che la sinistra è abusiva da anni, complice il Quirinale, e che ha fiducia nella riconquista di palazzo Chigi da parte del centrodestra che, aggiunge, è maggioritario nel paese.
R. Ecco, invece io sono davvero poco ottimista su questi sforzi, veri o presunti, di riconquista. Non c’è una realtà tangibile in questo senso, ma potrei sbagliarmi, intendiamoci.
D. Forza Italia appare, per la verità, messa male.
R. Si può dire che si è lentamente dissolta. Anzi, direi proprio spappolata. Si cominciò con Gianfranco Fini, ricorda? E da allora non ci si è più fermati, fino a Raffaele Fitto e Denis Verdini.
D. A proposito di Verdini, il suo collaboratore storico, Max Parisi, ha dato alle stampe, per Rubbettino, un libro sui consigli di Denis al Cavaliere. Un messaggio ai parlamentari forzisti ad abbandonare la nave e passare con Ala?
R. Questo non so dirglielo. Ovviamente, come giornalista, sono curioso. A noi, che abbiamo da raccontare, queste cose non fanno altro che divertire. Quindi leggerò anche ciò che Verdini ha consigliato a Berlusconi, ma non so valutare se sia una campagna acquisti o che cosa. Il dato certo
D. Il dato certo?
R. È che di Forza Italia, oggi, rimane sì e no il nucleo fondativo. Siamo dinnanzi a un rimasuglio e non certo dinnanzi a un partito in grado di competere.
D. Senta, Berlusconi ha chiarito che non si candiderà, anche perché la legge Severino, allo stato attuale, non lo consente.
R. Ebeh.
D. Però ha detto che si adopererà per far vincere lo schieramento. Secondo lei s’è davvero convinto di lasciare il timone a Matteo Salvini, come era sembrato quando era andato al comizio leghista di Bologna, in novembre?
R. Vede, siamo ai ragionamenti del tipo, «Se la Lega si mette in società», ossia ai tentativi di rimettere assieme, di riunificare, di rifondare. Ma io ho l’impressione di una cosa, sa?
D. Che cosa?
R. Che queste formule, queste congetture, interessino me e lei, che ci occupiamo di queste cose, ma che, alla gente comune, non diano nessuna emozione.
D. Lei dice?
R. Massì, che vuole che gliene freghi di sentir dire, che c’è anche Giorgia Meloni, e poi, con Salvini e Berlusconi, si arriva al 40%. Sono pensieri vaghi e, oltretutto, si spacciano per notizie quelli che mi paiono più che altro desideri. Un gran parlare di cui si giova, ovviamente, Matteo Renzi, il quale, non avendo avversari, non avrà problema alcuno, quando si voterà.
D. Già, ma chi glielo ha fatto fare, a Berlusconi, di rompere il patto del Nazareno, come hanno detto, nei giorni scorsi, anche Giuliano Ferrara e Giuliano Urbani?
R. Tra l’altro ebbe torto, a rompere su Sergio Mattarella.
D. Perché?
R. Lui si incazzò, ma Mattarella era il capo di Stato grigio che ci voleva. Un presidente più grigio di così, credo che non si potesse trovare.
D. Se n’è pentito, secondo lei?
R. Forse sì. E forse ogni tanto pensa a un recupero che, a questo punto, sarebbe francamente improprio. Ma non c’è una strategia: un giorno si dice una cosa, un altro giorno un’altra: si va vanti a tentoni. Ora, capisco che non si facile, eh. Ma forse così è un po’ troppo.
D. Il partito intanto scivola nei sondaggi.
R. Ma forse 10 brave persone che, su 100, votino ancora Berlusconi si trovano ancora ma, capisce, questo significa mettersi a fare i conti a tavolino: 19, più 10, più E io capisco che gli elettori non si entusiasmino.
D. Intanto, dentro Forza Italia, c’era stato un inizio di resa dei conti, fra Paolo Romani e Renato Brunetta, dopo l’infruttuoso tentativo di sfiduciare Maria Elena Boschi sul decreto «salva banche» alla Camera. Litigano ancora, o le risultano che siano tornati coesi?
R. Non ho certezze, ma non vedo miracoli.
D. A proposito di «Salva banche»? Dopo la pausa natalizia, che in Italia è capace di fermare ogni cosa, riprenderà l’attacco dell’opposizione a Renzi, che un po’ era parso accusare il colpo?
R. Sa, il problema delle banche viene ben prima del presidente del Consiglio. Basta mettere in fila solo gli scandali degli ultimi anni: come non ricordare le obbligazioni Cirio, i bond argentini, il Monte dei Paschi?
D. Grossi problemi, in effetti, e Renzi, ai tempi di Cirio, faceva il giovane segretario dei Popolari a Firenze.
R. Sì e, con tutto che la situazione sia seria e qualche banca popolare sia in pessime condizioni, dare la colpa a Renzi lascia il tempo che trova. No, credo che la cosa sia finita lì.
D. Renzi che, deve affrontare, come segretario Pd, il rinnovo amministrativo in città importanti. Anche se è qualcosa che, secondo alcuni, non lo appassiona. C’è Roma
R. Roma l’ha già persa
D. Milano
R. Milano, invece, l’ha già vinta.
D. Qualcuno dice che non dispiaccerebbe, a Renzi, che la Capitale andasse a a Beppe Grillo. Vorrebbe che il M5s ci sbattesse il grugno.
R. E lo penso anche io. Lui gliela lascerebbe volentieri, perché convinto, come lo sono anche io, che i grillini non siano capaci di governare. Se così fosse, ragiona Renzi, ce li togliamo dai coglioni per sempre.
D. E se invece risanassero l’Urbe?
R. Beh, allora in quel caso, Renzi ci farebbe gli accordi. Sdoganandoli.
D. Il M5s parrebbe un po’ appannato: qualche pasticcio nel governo di Livorno, l’espulsione del sindaco a Gela, ora le infiltrazioni camorristiche a Quarto, nel Napoletano.
R. Guardi che i grillini sono personaggi strani: paiono sempre sul punto di morire poi invece aumentano. Difficile fare previsioni.
D. Veniamo a Milano: Renzi, lì, ha già vinto, ha lei detto prima.
R. Sì, perché non c’è ne ci sarà un candidato di centrodestra.
D. Neanche se convincessero il suo amico Alessandro Sallusti?
R. Neanche Paolo Del Debbio o Gesù Bambino, mi creda, sarebbero in grado di vincere, perché semplicemente, la buona borghesia milanese voterà Giuseppe Sala. La città è stata rilanciata da Expo e non ci sono motivi particolari di scontentezza, salvo nelle periferie, per i problemi soliti, dalle case popolari all’immigrazioni, ma che sono questioni nazionali.
D. E se Giuliano Pisapia ce la facesse a sgambettare Sala e Renzi, facendo vincere le primarie a Francesca Balzani?
R. Improbabile, davvero improbabile.
D. Per Renzi, vincere a Milano, bilancerebbe effettivamente un’eventuale perdita di Roma. Ma i rinnovi amministrativi sono molti. E poi ci sarà, in autunno, il referendum costituzionale. Questo nuovo profilo anti-Merkel e antieuropeo del premier, non potrebbe giovargli, dinnanzi a queste scadenze?
R. «Anti», forse è troppo. Ma se il presidente del Consiglio continuasse a rendersi antipatico all’Europa, diventerebbe sempre più simpatico agli italiani, come si è visto in questi giorni. E forse, all’inizio, non era una strategia politica, ma potrebbe diventarlo.
di Goffredo Pistelli
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