Da Il Mattino del 27 giugno
Il presidente dell’Abi Antonio Patuelli non ha dubbi: Brexit prevedibile, ora non è il caso di farsi prendere dal panico. «Il nostro è un sistema solido. Ma bisogna vietare speculazioni aggressive». Spiega Patuelli che in Italia «si sono aperti molti più spazi per la speculazione aggressiva. Soprattutto per quella che vende allo scoperto, vende cioè cose che non ha». Comunque, il presidente tende a rassicurare gli investitori: con la Brexit rischiano solamente gli inglesi, avevano benefici e pochi oneri.
Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, l’Associazione delle banche italiane, non ha dubbi: se la Brexit era in qualche modo prevedibile – e lui era stato tra quelli che il pericolo l’aveva fiutato per tempo – oggi non è il caso di farsi prendere dal panico. «Tutte le nostre banche hanno riaperto stamattina, come è sempre accaduto», dice. Ma poi aggiunge: «Il problema vero non è la solidità del sistema finanziario del Paese su cui non c’è da dubitare, quanto la necessità di proteggerlo da speculazioni aggressive che la possibilità di vendite allo scoperto indubbiamente favorisce».
A cosa si riferisce, presidente?
«Il mercato bancario italiano è il più aperto in Europa: 20 anni fa sono state decise le privatizzazioni, il pubblico è stato fatto uscire completamente dalle banche. Di conseguenza con il solo capitalismo italiano e gli investitori esteri stabili si sono aperti molti più spazi per la speculazione aggressiva. Soprattutto per quella che vende allo scoperto, vende cioè cose che non ha».
Cosa vuol dire in concreto?
«Un privato cittadino se vende un immobile non di sua proprietà pone in essere più violazioni del codice penale. Se invece gli investitori di mercato vendono titoli che non hanno, lo possono fare. Siamo di fronte a una palese contraddizione che destabilizza soprattutto laddove il mercato è più aperto come da noi in Italia».
Perché questo dovrebbe preoccupare anche i risparmiatori e non soltanto gli addetti ai lavori?
«Perché si infrange una regola fondamentale: uno può comprare o vendere beni reali, non cose che non ha. Se lo fa alimenta movimenti finanziari che non sono basati sul reale e sono solamente manovre spericolate. È un meccanismo di anarcocapitalismo che inevitabilmente produce effetti negativi sull’economia».
Ma chi dovrebbe correggerlo? A chi tocca intervenire?
«Noi abbiamo ormai un pluralismo dedalico di fonti normative. Mentre prima sapevamo sempre chi era il titolare della sovranità, ora bisogna fare i conti anche con organismi sovranazionali che a loro volta sono intrecciati tra di loro. Non a caso l’anarcocapitalismo colpisce meno le economie nazionali dove c’è una forte presenza pubblica negli azionariati. In Germania dove i laender sono presenti nella proprietà delle banche è di fatto molto difficile vedere vendite allo scoperto. In Italia invece non ci sono più banche di Stato o Iri (di cui non ho nostalgia) e l’anarcocapitalismo ha più campo libero».
Chi protegge i risparmiatori?
«Le competenti autorità e non è una frase banale. La tutela del risparmio in Italia è garantita dall’articolo 47 della Costituzione che non è stato sottoposto a revisione. È la Repubblica che deve proteggere il risparmio».
Ci dovremo insomma attendere altri raid speculativi sui mercati? Non si rischia di indebolire il sistema finanziario italiano?
«Calma e gesso sono indispensabili. Per raffreddare le emozioni bisogna frenare l’anarcocapitalismo e tornare ai fondamentali dell’economia: si vende solo quello che si ha nelle contrattazioni in Borsa. Io auspico che venga definitivamente accantonata la possibilità delle vendite allo scoperto perché qui è in discussione il capitalismo europeo: perché si è deciso, giustamente, di non farlo più difendere da muraglie autarchiche ma lo si è troppo esposto alle piraterie della speculazione internazionale».
Bloccare le vendite allo scoperto, d’accordo: ma basterà? Cosa si deve fare dopo?
«Bisognerà rivedere la normativa strutturalmente perché faceva parte di una stagione passata, quella delle grandi speranze di fine anni Ottanta quando si sperava che tutto il mondo andasse verso una società e una democrazia aperte. Oggi la società privilegia le scorrerie. Non penso ovviamente a forme di protezionismo nazionale ma serve più equilibrio per chi, come il capitalismo italiano, è nettamente più esposto quando la speculazione internazionale si scatena».
Lei ha sempre difeso la solidità delle banche italiane ma è un dato di fatto che è proprio l’Ue delle banche e della finanza ad essere da tempo nel mirino delle critiche: esagerazioni?
«Domani mattina (stamane, ndr) tutte le banche italiane riapriranno regolarmente e lavoreranno ordinatamente come sempre. Ricordo che il giorno successivo al più grande bombardamento della mia città, Ravenna, nella seconda guerra mondiale, la banca riaprì».
D’accordo, presidente: ma non teme che l’effetto imitazione della Brexit possa trasformarsi in realtà?
«Un anno fa ho pubblicato un libro di volontariato sociale dal titolo “Nuova Europa o neonazionalismo”, edito da Rubbettino. Avevo intuito il fenomeno, conoscendo normative di vario genere ho capito dove si andava a finire. Non mi meraviglia perciò il risultato britannico. Ora però i cocci sono degli inglesi. Ora che la Gran Bretagna smetterà di pagare i contributi all’Ue finirà anche per non incassare più quelli della politica agricola comunitaria: i contadini inglesi, le farm del Galles e dell’Irlanda del Nord e della Scozia, non avranno più le contribuzioni di Bruxelles».
Eppure presidente un certo panico sembra essersi un po’ diffuso anche al di qua della Manica…
«Ma effetto panico di cosa? I problemi sono nati e restano in Gran Bretagna perché è lì che è stata compiuta una scelta traumatica, non è il continente europeo che si è allontanato dal centro del mondo. Un paradosso, certo, se si pensa che la Gran Bretagna aveva uno status così particolare nell’Ue da avere fino a ieri l’altro vantaggi doppi: farne parte e godere di privilegi sconosciuti agli stessi membri fondatori. E la cosa aveva fatto urlare De Gaulle finché era vivo. Ora sono i britannici a dover essere preoccupati delle conseguenze delle loro scelte che li autoisolano. I britannici rimangono membri fondamentalmente solo dell’Onu e della Nato. Quindi rimangono alleati nostri per le politiche militari, ma per tutto il resto sono un altro Paese con tutti i rischi. E non possono immaginare dopo il referendum di poter avere ulteriori privilegi rispetto a quelli che avevamo ottenuto a febbraio scorso, se fossero rimasti nell’Ue».
Non crede che è anche ora che le istituzioni europee si preoccupino di dare attuazione concreta alla norme sulla garanzia unica peri depositi bancari?
«Credo di sì anche perché parliamo di una norma posta in essere in anni molto recenti. Io vedo le dichiarazioni delle pubbliche autorità che hanno tutti gli strumenti di conoscenza che io non ho perché sono solo il presidente di un’Associazione privata: tutte le pubbliche autorità garantiscono sulla solidità italiana. Lo spavento di venerdì scorso sui mercati azionari e finanziari è stato forte ma è accaduto lo stesso anche nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti. Anche lì i titoli bancari, sia pure non le percentuali negative europee, hanno avuto anch’essi dei forti cali. Quindi sangue freddo e mente fredda: ecco cosa occorre adesso».
di Nando Santonastaso
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