[Lituania, 1941]. I tedeschi entrarono a Rokishkis, la nostra piccola città, e il giorno successivo iniziò la persecuzione. Le liste dei comunisti e degli altri attivisti erano già state compilate a opera dell’organizzazione dei nazionalisti lituani e di quella de: I giovani lituani, vale a dire della gioventù nazista. Tale gentaglia era capitanata da un certo Pietrenas Jantzenas, in combutta con altri estremisti del luogo. Quel giorno, divisi in vari gruppi, raggiunsero gli indirizzi indicati e arrestarono dozzine di individui, soprattutto ragazzi, e subito li consegnarono alla Gestapo. La gente veniva catturata anche nei villaggi del circondario. I prigionieri subivano interrogatori e pestaggi e venivano lasciati senza cibo e senza acqua.
Un bel posto, amato dalla gente. L’intera cittadina era sotto assedio. La maggior parte degli uccisi erano ebrei e lituani che avevano collaborato con i sovietici.
Tra la popolazione israelita si diffuse il panico. Le persone avevano paura di uscire di casa e di scendere in strada anche solo per comprare una pagnotta. La famiglia del dottor Gundelman abitava di fronte al quartier generale della Gestapo e dalle finestre poteva scorgere quello che avveniva all’interno. Durante gli interrogatori i Gundelman udivano le urla di quelle anime terrorizzate e i pianti disperati che penetravano nelle orecchie come aghi nella carne. Prigionieri in casa, erano testimoni di ciò che stava accadendo alla comunità ebraica della cittadina, sapendo che ben presto quei delinquenti sarebbero venuti a prendere anche loro. Non erano preparati alla Resistenza né fisicamente né moralmente e non trovando alcuna via d’uscita giunsero alla conclusione che il suicidio fosse l’unica soluzione possibile. Una notte il dottor Gundelman avvelenò la moglie, i loro due piccoli bambini e infine se stesso. La notizia della fine della famiglia del dottore sconvolse la comunità.
Tutti si convinsero che non ci fosse via di fuga da quella tragica situazione, eppure, se non si voleva morire di fame rinchiusi nella propria abitazione, bisognava continuare a mangiare, a bere e a tirare avanti. Si era a questo punto quando i tedeschi presero l’iniziativa ordinando a tutti gli ebrei di riunirsi nella sinagoga principale.
Qui dissero loro che avrebbero dovuto lasciare le abitazioni per essere trasferiti in campagna, in quella che in passato era stata la dimora dei nobili del luogo e che tutti conoscevano. Un edificio in mattoni rossi, usato come stalla e di recente semi-distrutto da un incendio, soltanto le pareti rimanevano in piedi. I tedeschi avevano deciso di sistemarci gli ebrei di Rokishkis. Nel frattempo i loro beni sarebbero stati confiscati per essere distribuiti a cosiddetti «bisognosi».
Centinaia di lituani si precipitarono di fronte all’opportunità di rapinare tutto ciò che era appartenuto agli ebrei: letti, vestiti, orologi, porcellane, biancheria… Le case furono assegnate a persone che fioccarono in città da tutto il circondario. Le abitazioni migliori andarono alle nuove autorità tedesche e lituane. Gli ebrei trasferiti in quella lurida stalla vivevano o, per meglio dire, sopravvivevano in condizioni indicibili, giacendo al suolo tutti insieme, donne e uomini, sani e malati, mentre i tedeschi e i collaborazionisti lituani facevano il possibile per rendere le loro condizioni abominevoli. Alcuni dei più sadici costringevano le donne e i bambini a rimanere per ore immersi nell’acqua sporca di un piccolo stagno.
Joseph Harmatz, Il poeta e il combattente. Rubbettino, 2022