In libreria “Capire la crisi”, il libro che Angela Merkel dovrebbe leggere (così come gli italiani che si apprestano a chiedere un mutuo)

del 11 Luglio 2012

Quando è incominciata questa crisi, dove, che cosa l’ha scatenata, come si è sviluppata? E perché sembra non finire mai? Di chi sono le responsabilità? Perché siamo diventati vittime degli spread? Perché il lavoro non riesce più a essere un diritto? Perché un tempo si andava in pensione da giovani e oggi i giovani sanno che non andranno mai in pensione? Perché la Germania non vuole gli eurobond e la Gran Bretagna si oppone alla Tobin Tax? Perché si parla di guerra? Chi sta vincendo e chi sta perdendo?

Sulla crisi si è scritto e detto molto, ma dopo cinque anni di turbolenze un libro prova a fare ordine, ricostruendo le principali tappe della crisi, raccontando con parole semplici che cosa è accaduto e perché, mostrando con chiarezza gli errori commessi e offrendo una lucida chiave di lettura dei problemi che stanno affliggendo l’occidente. Nella certezza che da questo conflitto non si potrà uscire fino a quando le persone, i cittadini, i consumatori e i risparmiatori non avranno compreso la vera natura dei problemi e il valore della posta in gioco.

“Capire la crisi” illustra con un linguaggio comprensibile i fatti che hanno generato i problemi con i quali il mondo si sta ancora confrontando. Facendo capire che nessuno può veramente dirsi “non responsabile”. Il libro dimostra che la crisi nasce tanto in Germania quanto in Italia, a Londra come a Madrid, a New York come ad Atene. E aiuta a capire come mai di questa degenerazione siano responsabili tanto la cultura del turbo capitalismo quanto gli eccessi dello statalismo, perché le responsabilità sono dei manager delle grandi banche quanto dei piccoli risparmiatori, degli speculatori quanto dei cittadini consumatori.

La proposta delle soluzioni riserva sorprese: servono nuove regole, ma senza un cambio radicale nel modo di intendere l’economia e il libero mercato, senza la presa d’atto che la crisi è figlia soprattutto di una deriva di carattere morale ad ogni livello economico e sociale, del prevalere dell’avidità sul desiderio di servire il bene comune, sarà impossibile superare queste e le future difficoltà. Come suggerisce Papa Benedetto XVI, ma come insegnano anche Gordon Gekko, il Quentin Tarantino di Kill Bill, Sir Francis Drake, la cicala e la formica.

L’Autore
Massimo Calvi è caporedattore al desk centra del quotidiano “Avvenire” dove è stato per dieci anni responsabile della redazione Economia e Lavoro.

Qualche domanda all’autore sul libro e il suo contenuto

– Come è nata l’idea di scrivere un libro sulla crisi?

La crisi dura da ormai quasi 5 anni. In questo periodo sono usciti innumerevoli articoli, decine e decine di libri, diversi film con a tema la crisi. Ma la mole di informazioni e analisi fornite ha finito per rendere tutto un po’ complicato e credo di difficile comprensione per la gente comune. Da tempo pensavo che fosse importante fornire alle persone una specie di guida su quanto accaduto, una mappa dei problemi, e allo stesso tempo di fissare alcuni punti fermi relativi al perché i problemi sono nati e al come possono essere risolti. La stessa idea è venuta alla fondazione Achille Grandi per il Bene Comune, che cura una collana per l’editore Rubbettino. È stata una coincidenza che mi abbiano contattato, penso leggendo quello che scrivevo su Avvenire, ma quando lo hanno fatto il libro ha incominciato a essere scritto

– Ci sono moltissimi saggi dedicati a questo tema, come hai voluto differenziare il tuo?

Ho cercato di fare sintesi dei fatti e dei problemi e metterli in ordine in modo che della crisi si potesse avere una chiave di lettura il più possibile semplice e lineare. Nel libro non ho voluto raccontare grandi retroscena, storie segrete, non ho voluto inserire citazioni dotte o riferimenti comprensibili a pochi. Lo sforzo è stato soprattutto di semplificazione, di ordine logico e cronologico, e di traduzione in parole semplici di alcuni concetti economici decisivi. Ho voluto rivolgermi a chi sa poco, non a chi pensa di sapere giù tutto. Perché sono convinto che finché la gente comune non comprenderà le ragioni più profonde di questa crisi, sarà difficile uscirne.

– Nelle pagine si ripete più volte il tema dell’etica, nella finanza e nell’impresa. Quanto pensi sia importante?

È l’elemento decisivo. Fino a che continueremo a sostenere che l’unico modo per fare economia e business sia operare per il proprio esclusivo interesse individuale, cercando di realizzare il maggior guadagno possibile per noi, e scaricando i costi del nostro benessere su qualcun altro, i problemi ci saranno sempre. L’etica non è una questione che riguarda solo le imprese e la finanza, ma tutti noi, consumatori, risparmiatori, lavoratori, cittadini. La crisi nasce innanzitutto da una deriva morale, da una crisi di senso, da un diffuso disprezzo del bene comune  e dal fatto che si è perso di vista il rispetto della persona umana a tutti i livelli. Etica non è una parola vuota, è un concetto economico fondamentale, che si forma educando anche alla responsabilità e alla solidarietà.

– Come giudichi ciò che si sta facendo in Italia?

L’Italia sta facendo il massimo che può fare. Cioè poco. Se le forze politiche e quelle sociali comprendessero che questo è il momento per mettere da parte velleità elettorali a breve termine e incominciare a servire il bene comune in nome di interesse più alto, potremmo fare molto di più. All’Italia serve gente capace di guardare lontano, con un orizzonte temporale di 20-30 anni, invece mi sembra che, a tutti i livelli, si tenda a guardare soprattutto ai sondaggi di oggi e domani oltre al proprio esclusivo interesse personale. Detto questo, l’Italia da sola può fare ben poco. È tutta l’Europa che deve svegliarsi.

– Da osservatore privilegiato, cosa dobbiamo attenderci nei prossimi mesi?

Questa crisi insegna che di osservatori privilegiati non ce ne sono più. Anche i premi Nobel per l’economia hanno sbagliato, figuriamoci quello che possono capire i giornalisti, che ormai sono una delle categorie più lontane dalla realtà e dal Paese reale. La mia sensazione è che la crisi economica sarà dura, e non finirà presto. Incominceremo a uscirne quando ci renderemo conto che, essendo come una guerra, per rimetterci in piedi dovremmo comportarci come si fa durante o dopo una guerra: ci si aiuta a vicenda, ci si rimbocca le maniche, si lavora a testa bassa ciascuno con le proprie idee ma senza scontrarsi inutilmente, si costruisce insieme qualcosa che abbia valore per tutti. Lo abbiamo già fatto in passato – penso alla storia della cooperazione o a quella delle imprese dei distretti industriali – possiamo farlo ancora.

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