Da Le Cronache del Garantista del 2 dicembre
Nell’ultimo ventennio, la bibliografia a carattere pubblicistico e divulgativo sulla storia della destra italiana ha avuto un incremento considerevole, certamente frutto delle contemporanee stagioni di governo di formazioni politiche che, forse per la prima volta dal dopoguerra, rivendicano con forza la loro collocazione nel segmento destro dello scacchiere politico. Con un po’ di (colpevole) ritardo, anche in ambito accademico sono apparsi, in anni recenti, lavori di pregevole fattura sull’argomento. In Italia, si può affermare senza timore di smentita, è mancato un René Rémond, autore de Les Droites en France, apparso per la prima volta nel 1954 e la cui ultima edizione è del 2005, ritenuto un vero e proprio pilastro della scienza politica francese. Per mezzo secolo, nel nostro Paese, le vicende della destra o delle destre sono state considerate marginali, ininfluenti o al massimo, da stigmatizzare in quanto eredi di un passato ancora troppo legato alla dittatura fascista. Non è quindi un caso se Storia delle destre nell’Italia repubblicana (Rubbettino, Soveria Mannelli, 2014, pp. 285, 18,00) il volume curato da Giovanni Orsina, docente di Storia contemporanea e vicedirettore della School of Government alla Luiss di Roma, compaia esattamente a vent’anni di distanza dalla prima apparizione sullo scenario politico italiano di un rassemblement che si richiama espressamente alla Destra, categoria politica sulla quale era calata, per più di mezzo secolo, la damnatio memoriae per la sua contiguità con il regime mussoliniano. Ad aumentare poi l’interesse per i saggi contenuti nel libro edito da Rubbettino nella sempre più ricca collana di “Storia Politica”, è l’attuale condizione dell’arcipelago delle destre italiane, che si presenta con una pluralità di partiti o movimenti che, in qualche modo, avvalorano la tesi di fondo del volume sulla frammentarietà, quasi genetica, di questa famiglia politica. Gli studi meno recenti dedicati alla storia repubblicana hanno in genere trattato la destra come un blocco monolitico e indifferenziato, in cui i distinguo e le articolazioni interne erano, o inesistenti o irrilevanti. Lo scenario è completamente mutato negli ultimi lustri. La galassia delle destre nell’Italia repubblicana è stata esaminata in maniera più approfondita e si è rivelata molto più articolata di quanto non si pensasse, tanto da rendere impossibile parlare di “destra” – “destre” piuttosto, al plurale, molto differenti l’una dall’altra e anzi spesso duramente contrapposte l’una all’altra. È chiaro quindi, che non è più possibile rifuggire da una declinazione al plurale di questa tipologia politica. Il libro raccoglie saggi di alcuni fra i principali esponenti della nuova stagione di studi e ha l’ambizione di dar pienamente conto, con scritti agili e interpretativi accompagnati da un apparato bibliografico essenziale, di come fossero formate e di come siano evolute nel tempo le destre italiane dal 1945 a oggi. Fra i contributi più interessanti, va segnalato quello di apertura, a firma di Gaetano Quagliarello che cerca di ricostruire, secondo uno schema caro agli studiosi di comparative politics, le alterne fortune che hanno avuto le destre europee come forze politiche sistemiche ed antisistemiche, facendo spesso riferimento alla parabola del gollismo in Francia e l’ascesa dei tories nel Regno Unito all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso. Vera Capperucci dedica la sua attenzione all’esperienza democristiana, partito centrista che però aveva la capacità di «spostarsi lungo l’asse destra-sinistra tanto al suo interno quanto all’esterno, mantenendo fermo al centro il baricentro dell’equilibrio politico», mentre Giuseppe Parlato, studioso molto apprezzato per le sue ottime ricerche sulla “sinistra fascista”, ripercorre i cinquant’anni di storia (1945- 1995) del Movimento sociale italiano, dalle origini a Fiuggi. Il curatore del volume riserva la chiusura a un saggio sul ventennale berlusconiano, concludendo che la proposta politica del Cavaliere è rimasta sospesa fra un’opzione che, semplificando, definisce “populista” e un’alternativa “liberale di estrema destra”, con un programma finalizzato a ridurre in misura consistente il peso dello Stato sulla società civile. Il libro è tanto più apprezzabile, in quanto contribuisce a colmare una lacuna storiografica di non poco conto, sia per l’analisi sia per l’interpretazione della storia repubblicana “viste da destra”.
di Massimo Ciullo
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