Il Futurismo fu un’estetica che raggiunse ogni campo. Non soltanto la pittura e la scultura, ma la poesia, il teatro, la musica, l’architettura, l’arte grafica e persino la moda, il vestiario. La stilista Laura Biagiotti confessò di ispirarsi ai quadri di Balla, il futurista fiorentino Thayath fu l’inventore della tuta. Al tempo stesso il Futurismo (fondato nel 1909 a Parigi dal poeta Marinetti con un articolo su Le Figaro) attecchì presto ovunque in Europa; poi persino in Giappone: e ottenne tutta una varietà di interpretazioni nazionali, o locali, se si preferisce. Ed essendo un movimento innovatore, contestatore, fu frontalmente avversato e deriso. Marinetti (le millionaire Marinettì, a Parigi) fu bravissimo a navigare controvento. Orzò la vela e andò avanti. In Italia, gli esponenti fascisti non lo amarono, quando non l’osteggiarono; ma Mussolini gli serbò stima e amicizia. In Russia il Futurismo fiorì rigoglioso, più che in Italia, secondo alcuni. Ma l’idea che fosse nato tra Milano e Parigi, e da padre italiano, risultò così insopportabile a una parte dei futuristi russi che si sfidò il ridicolo e si ricorse persino a false datazioni pur di mostrare che già prima del 1909 c’erano poeti e artisti futuristi a Mosca. Chi più si distinse in questa insofferenza fu Vladimir Vladimirovic Majakovskij, il cantore dell’Ottobre Rosso, ancor oggi il più celebrato poeta del Novecento russo.
Quando nel 1914 Marinetti viaggiò nella Russia dello Zar, Majakovskij aveva solo ventun anni. In cinque anni, da sfrenato ammiratore del poeta italiano, gli era diventato ostile, distinguendosi tra quelli che lo contrastavano. Si scambiarono poi poche parole nel vocìo di un banchetto e si persero di vista. Fin quando, undici anni dopo, giugno 1925, si apre uno sconosciuto, avvincente “giallo politico” raccontato da Gino Agnese dopo lunghe, minuziose ricerche in Marinetti / Majakovskij – 1925. I segreti di un incontro (Rubbettino Editore, 112 pagine, 10 euro). Ecco la scena madre: Marinetti e Majakovskij a cena in una saletta riservata del “Voisin”, uno dei più lussuosi ristoranti di Parigi: la Parigi dove è in corso la grande Exposition des Arts Decoratives et Industriales Modernes, quella che lancerà l’art déco. Siede con loro a tavola, e fa da interprete, una giovane scrittrice russa, fuggita dall’Urss per amore, che diventerà celebre in Francia con il nome di Elsa Triolet. Ma si chiama Elsa Kagan ed è la sorella minore di Lili Kagan, più nota come Lili Brik, l’“amore superno” di Majakovskij, donna coltissima, di straordinario fascino, così addentro al potere sovietico che si fece spia; ed è, al momento, amante di Yakov Agranov, il gentile, feroce numero due del servizio segreto sovietico.
Marinetti, pur non essendo un gerarca, era mussoliniano. Elsa Triolet era sì emigrata senza passaporto, ma di fede sovietica. Majakovskij si trovava a Parigi in attesa di poter avere un visto per gli Usa. Egli non aveva alcun interesse a incontrare Marinetti ma, stranamente – traduceva Elsa Triolet – pose a Marinetti una serie di domande ricavate da un foglio dattiloscritto: domande volte a saggiare se fossero allentati o no i rapporti del leader futurista con il fascismo, (Marinetti, che nel 1919 era stato al fianco di Mussolini nella fondazione dei Fasci, era notoriamente deluso: pensava che i gerarchi stessero tradendo lo spirito “diciannovista”). Ma dunque: chi, dietro le quinte, volle quell’incontro? Forse il burattinaio fu un grande ammiratore di Marinetti: Anatoli Lunacharskij, il ministro della Cultura, di Lenin e di Stalin, che aveva l’Italia per “seconda patria” e, quando era in esilio a Parigi, lo aveva conosciuto e frequentato, e gli aveva dedicato articoli. Lunacharskij? È colui che nel 1920, a Mosca, durante un Congresso dell’Internazionale, si era rivolto a Gramsci e a Serrati parlando in italiano e dicendo: «In Italia un rivoluzionario c’è: Marinetti».
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