Potrebbe apparire un’ipotesi fantasiosa e difficile da condividere, ma dopo la lettura del lavoro di Antonello Sica resta il convincimento che l’autore ha colto nel segno.
Proprio rileggendo la Ballata alla Madonna di Czestochowa pubblicata su L’Osservatore Romano nel febbraio del 1962 non possiamo non apprezzare la tesi di Sica fino a condividerla.
Quell’articolo, che gli era stato commissionato da mons. Capovilla, su desiderio di Papa Giovanni XXIII, per rendere omaggio all’arcivescovo di Varsavia Stefan Wyszyński – in quei giorni a Roma per i lavori preparatori del Concilio – era costato a don Giuseppe un’inspiegabile ansia e tanto lavoro.
Questo il testo della sua lettera a Capovilla: “Eccole, non ancora rifinito, l’articolo… Son due giorni e due notti che ci piango e mi dispero e mi ci arrabatto su”.
Quale era il dramma che si nascondeva in un “omaggio commissionato”, che la penna di un letterato dotto ed esperto come don Giuseppe De Luca avrebbe liquidato in poco più di un’ora (pur con la necessaria attenzione per il destinatario dell’omaggio e l’autorevolezza del committente)?
Perciò, l’audace intuizione di Sica appare non solo convincente, ma probabilmente veritiera!
Perché don Giuseppe De Luca arricchisce la sua Ballata con la bellezza dei ricordi personali – le montagne intorno a Sasso di Castalda, la mamma, lo zio prete – fino alla citazione di don Remo, quel prete di Orvieto, innamorato pazzo della Madonna, che gli aveva fatto conoscere la “Vergine Nera” di Czestochowa, trasmettendogli la stessa, identica, passione?
Rileggendo la Ballata non si può non condividere quanto scrisse Mons. Capovilla “Io che l’ho declamata cento volte ne rimango talmente preso da non riuscire a dominare la commozione più profonda, che si coniuga con ineffabile simpatia e nostalgia”. Quella stessa nostalgia che aveva colpito quel “prete” di grande spessore culturale, l’Uomo di fede “malato di letteratura”, innamorato di Cristo e della Madonna, quale era don Giuseppe De Luca, la cui personalità emerge come “un gioiello” dallo scrigno del suo ultimo lavoro. La lettura, d’un fiato, del libro di Antonello Sica è un tuffo nell’anima, bella e affascinante, di una “personalità” del secolo scorso (il prete romano della Lucania antica) che dovremmo imparare a conoscere meglio e a ringraziarlo, nell’intimo, per la luce che riesce ancora ad accendere nei nostri cuori!