Da La Gazzetta del Sud dell’11 gennaio
A volte ritornano, e sono di un’attualità incredibile, oltre che di un interesse sociale e culturale sorprendente, per chi non li conosce. Sono libri che hanno per tema il Meridione, di autori ormai entrati nella storia e nella dimensione della classicità. Possono essere antropologi, saggisti, politici, ma non v’è dubbio che i loro sono testi di culto della saggistica meridionale. Per fortuna ci sono editori, benemeriti e lungimiranti nella strategie editoriali, che li ripubblicano. Tra questi Donzelli e Rubbettino, attenti a custodire, e promuovere, il patrimonio librario meridionale, pubblicando anche, naturalmente, testi di autori odierni, che continuano ad occuparsi della “questione” per antonomasia, che non può che essere che quella meridionale, mitica, irrisolta, permanente e, in quanto tale, potremmo anche dire inesistente. Morta e seppellita, per indifferenza.
Ma vediamo alcuni dei “rieccoli” più recenti. Donzelli, ripropone “Sud e magia” di Ernesto de Martino, a cinquant’anni dalla morte dell’autore, in un’edizione speciale a cura di Fabio Dei è Antonello Fanelli (pp. 314, curo 34). Pubblicato per la prima volta nel 1959 da Feltinelli, questo libro-reportage è il frutto di numerose “spedizioni etnografiche” che, attraverso un’intensissima osservazione sul campo, consentono una comprensione profonda del mondo della magia e delle credenze popolari di un Meridione che, geograficamente, in qualche modo, corrisponde al contesto umano narrato da Carlo Levi in “Cristo di è fermato a Eboli”, che racconta di una comunità situata fuori dalla Storia.
“Sud e magia”, al contrario, quelle comunità meridionali, in cui la magia è rito, potenza del gesto e della parola, le pone all’interno di una più ampia “storia religiosa del Mezzogiorno” e delle relazioni tra classi egemoniche e subalterne. Magia, questione meridionale e storia locale giungono a contaminarsi nel libro, fino a presentarsi come facce di una stessa medaglia. Per de Martino, sono temi “scandalosi”, nel senso che si tratta di fenomeni che per essere compresi bisogna prima scardinare le nostre certezze e mettere in discussione le categorie usuali del nostro pensiero.
La “bassa magia cerimoniale”, praticata nel mondo contadino meridionale, per de Martino più che simbolo di arretratezza, di espressione di mentalità primitiva – in un contesto fuori dal mondo – è come un “istituto culturale” in grado di offrire protezione esistenziale ai ceti popolari, in un regime di vita dominato dalla miseria materiale e dall’oppressione politica. Bassa magia, dunque, come supplenza all’assenza, all’indifferenza, all’esclusione.
La nuova edizione di “Sud e magia” s’arricchisce con una serie di testi – scritti da de Martino tra il 1950 e il 1958 – riuniti nel capitolo “il cantiere di Sud e magia” che accompagnano il lettore nella genesi di uno dei capolavori della tradizione italiana di studi etnologici.
Ma riappare anche “Appello ai meridionali e altri scritti” di Guido Dorso (a cura di Raffaele Molisse, edizioni Aras, pp. 151, curo 11), un testo apparso la prima volta nel 1924, su “La rivoluzione liberale” di Piero Gobetti, e da considerare un documento che anticipa “La rivoluzione meridionale”, il manifesto del nuovo meridionalismo, che Dorso pubblicò con Gobetti, l’anno dopo. L'”appello” fu scritto da Dorso con l’intenzione di “agitare” la questione meridionale e per divulgare quello che il politico meridionalista, e antifascista, considerava l’aspetto più profondo della più generale questione italiana.
Ci sono alcuni passaggi, in quell’appello, che ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, suonano come parole di grande attualità, oltre che di forte dignità politica e intellettuale: «No, il Mezzogiorno non ha bisogno di carità, ma di giustizia: non chiede aiuto, ma libertà. Se il Mezzogiorno non distruggerà le cause della sua inferiorità da se stesso, con la sua libera iniziativa e seguendo l’esempio dei suoi figli migliori, tutto sarà inutile…».
E c’è un altro appello, nella storia degli scritti sul Meridione, forse meno conosciuto, rispetto all’ampia produzione saggistica e letteraria del suo autore, di cui però è bene riappropriarsi, quantomeno per il valore di testimonianza e solidarietà che contiene. È “Appello ai siciliani” di Luigi Sturzo, scritto nel 1959, pochi mesi prima di morire, e ripubblicato da Rubbettino (pp. 120, euro 7), da considerare un testamento spirituale del sacerdote e leader politico di Caltagirone.
Il libro ripropone una selezione di articoli scritti da Sturzo negli ultimi anni della sua vita. Si tratta di scritti ancora di grande attualità, per i siciliani, ma non solo per i siciliani, perché i consigli, i richiami e gli ammonimenti di Sturzo hanno una validità che trascende gli aspetti regionali e contingenti.
Come confessa Sturzo, l’appello è «una rinnovata testimonianza di solidarietà e di affetto a quell’Isola che ci rende, o dovrebbe renderci, uniti, non nell’isolamento geografico, né in quello politico e culturale, ma nelle speranze di bene, nelle affinità di lavoro, nel progresso morale e materiale, nel desiderio, anche se ambizioso, di portare la Sicilia al più alto livello fra le regioni italiane e contribuire ad affermarla, quale dovrebbe essere: Perla del Mediterraneo».
Quando arriva al punto principale del suo appello don Sturzo, alludendo alla necessità ed all’importanza della formazione, assume un atteggiamento severo nei confronti della Regione Siciliana. Il suo è un monito a futura memoria: «Costino quel che costino, la Regione invece di tenere due o tre mila impiegati più o meno senza titolo nei vari dicasteri ed enti, che ha il piacere di creare a getto continuo, ne tenga solo mille; ma contribuisca ad avere mille tecnici, capi azienda specializzati, professori eminenti, esperti di prim’ordine. Solo così la Regione vincerebbe la battaglia per oggi e per l’avvenire; sarebbe così benedetta l’autonomia da noi vecchi e dai giovani; i quali ultimi invece di chiedere un posticino nelle banche o fra le guardie carcerarie, sarebbero i ricercati delle imprese industriali agricole e commerciali nazionali ed estere». A rileggerlo, dopo più di cinquant’anni, si capisce che l’appello di Sturzo risulta come non pervenuto…
di Domenico Nunnari
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