Un’analisi non solo storica dell’eccidio di contadini calabresi nel primo ventennio del Novecento è al centro di “Tumulti – Stragi contadine in Calabria (1906-1925)”, ultimo lavoro del giornalista e sociologo lametino Claudio Cavaliere, edito da Rubbettino. Nel libro, recensito ora da Giuseppe Tripodi anche sulla prestigiosa rivista Quaderni di Storia, diretta da Luciano Canfora, si racconta un capitolo di storia meridionale da un’angolazione inedita, con l’obiettivo di squarciare un velo sulla repressione delle rivolte contadine, che fu durissima da parte delle forze dell’ordine ma soprattutto impunita. Cavaliere, con la sua scrittura appassionata e partecipe, consente al lettore di ritrovarsi nel clima dell’epoca e sentire in modo palpabile lo stato di sottomissione della classe contadina. Le ribellioni furono sedate nel sangue e l’incredibile giustificazione che consentì agli assassini di non essere perseguiti risiede nella necessità di placare la rabbia del popolo – come se il solo fatto di combattere per i propri diritti fosse stata una colpa da espiare con le vite (tantissime) di vittime anonime, a cui Claudio Cavaliere in questo libro, impreziosito dalla prefazione di Isabella Bossi Fedrigotti, intende tributare onore. Da Sinopoli, a Casignana, a San Giovanni in Fiore, in “Tumulti” si ricordano anni ininterrotti di omicidi di stato, con un report bellico in termini di caduti: dal 1909 al 1926 i contadini perivano a un ritmo annuale di cinque morti e 40 feriti in media. La stampa, sottolinea Cavaliere, era omertosa tutta – compreso quell’Avanti che avrebbe dovuto essere voce dei lavoratori. E con l’apparire del fascismo, molte riletture storiche cambieranno versione in corsa, come nel caso del reggino Ferdinando Cordova, che trasforma i fatti di Casignana da “eccidio” a “scontro a fuoco”, laddove gli unici a possedere armi ed usarle erano stati i militari. Saranno pochi gli studiosi calabresi a raccontare con onestà intellettuale e rigore etico questa facciata oscura, da Italo Falcomatà a Mario La Cava e appunto Cavaliere. Con “Tumulti”, il giornalista lametino, come scrive Tripodi su Quaderni di Storia, “ha restituito dignità personale (un nome, almeno il nome di ognuno di essi) e collettiva facendoli uscire dalle condizioni di mal-sepoltura nella quale erano stati lasciati dalla stampa asservita e immonda, dagli storici distratti o autocensurati e dalle torme di poeti abituati ad innocue rime baciate che neanche si sono accorti di tanta sofferenza e di tanto dolore”.
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