Il ruolo degli enti locali nella prevenzione e nel contrasto
a cura di Marco Omizzolo
Continua con la sua 36esima puntata la rubrica “Politica resiliente” curata da Avviso Pubblico, l’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica
Riflettere sulle varie e articolate forme di sfruttamento e caporalato in Italia, significa indagare il funzionamento non solo del mercato del lavoro, nelle sue espressioni formali e informali, ma della nostra stessa democrazia e con essa il patto sociale che la ispira.
Per questa ragione, il monografico voluto da Avviso Pubblico e pubblicato da Rubbettino dal titolo “Sfruttamento e caporalato in Italia. Il ruolo degli enti locali nella prevenzione e nel contrasto”, è necessario per richiamare l’attenzione sul fenomeno e stimolare politiche attive.
Il monografico riesce ad esprimere alcune tra le riflessioni più avanzate relativamente a diversi settori lavorativi in cui sfruttamento e caporalato risultano più organizzati e strutturati, integrando metodologie e ricerche accademiche ed esperienze sindacali dentro una comune cornice analitica che intercetta le condizioni di vita di migranti e italiani, lavoratrici e lavoratori e di alcune imprese agricole impegnate a contrastare sfruttamento e caporalato (Agri.Bi. Verona, Co.val.p.a. nel Fucino e il progetto Di.Agr.A.M.M.I. centro-sud, cooperativa Pietra di Scarto in Puglia).
Nel contempo il monografico indica agli Enti locali alcune proposte politiche e nuove governance da attuare nella propria quotidiana attività amministrativa per prevenire e contrastare forme spesso sofisticate di sfruttamento e caporalato, dando piena attuazione al dettato costituzionale.
Si tratta di un aspetto innovativo, che prova a legare le responsabilità pubbliche con le competenze e le esperienze di chi sul fenomeno indaga e si interroga da anni, cercando di inserirsi, in modo critico e analitico, nelle profonde trasformazioni del modello politico-economico e del mercato del lavoro.
Si tratta di trasformazioni che hanno come obiettivo, tra gli altri, quello di rispondere all’intensificazione produttiva derivante dall’espansione del sistema capitalistico, dalla fluttuazione della domanda di beni e servizi, dalla deregolamentazione dei commerci internazionali e dalla conseguente compressione dei diritti del lavoro, sociali e umani.
Nel caso del settore primario, per esempio, ciò è evidente relativamente all’organizzazione dell’agro-business e alla sua riformulazione globale in chiave neoliberista. All’interno di questo processo, lo sfruttamento del lavoro è stato riprogrammato in un modello sistemico, diffuso e organizzato che solo mediante una nuova collaborazione tra ricerca, enti locali, sindacato e le migliori esperienze di impresa è possibile disarticolare e superare definitivamente.
Anche per questo, come afferma l’Osservatorio Placido Rizzotto, siamo arrivati a circa 230mila persone che ogni anno nel solo settore primario sono esposte a caporalato, sfruttamento, emarginazioni e violenze varie.
La forza lavoro degli immigrati viene spesso attivata secondo le discrezionalità e interessi esclusivi del mercato del lavoro e della relativa produzione, soprattutto in settori caratterizzati da alta intensità lavorativa, scarsa sicurezza sociale e ambientale (Legambiente 2022, 2023), in cui il ricorso all’irregolarità formale e informale e a varie forme di sfruttamento, anche contrattualizzato, costituiscono una strategia volta a ridurre il costo del lavoro e a generare forme di dipendenza, subordinazione ed emarginazione strutturali e di lungo periodo.
Condizioni sulle quali nessun governo italiano degli ultimi trent’anni è intervenuto con autorevolezza e determinazione a tutela dei diritti del lavoro e dei relativi diritti fondamentali.
Lo sfruttamento e il caporalato non sono, dunque, circoscrivibili solo ad alcuni specifici settori produttivi, come quello agricolo, edile, del facchinaggio o dei servizi alla persona, o ad alcune aree geografiche.
Sono noti, ad esempio, solo per citarne alcuni, i casi di che hanno riguardato il Trentino con riferimento al lavoro nelle cave di porfido, in edilizia o in agricoltura, la città di Milano relativamente al commercio al minuto e all’ingrosso di prodotti agricoli, al facchinaggio, all’impiego dei ciclofattorini (rider) e del relativo caporalato digitale, indagato nel monografico da un eccellente saggio di Maria Barberio, all’edilizia e alla sicurezza privata, di Imola con il caporalato individuato in una cooperativa che forniva prestazioni a un’azienda semipubblica, di Prato con casi accertati di sfruttamento e segregazione nel pronto moda o, più in generale, in Toscana, Emilia Romagna, come anche in Franciacorta nel bresciano e nell’Oltrepò pavese o in Veneto con riferimento all’industria tipografica e ancora al settore agricolo, edile e del facchinaggio.
Lo stesso vale per i casi rilevati nella logistica, nella cantieristica navale e nella grande distribuzione, nei servizi alla persona e alla cura della disabilità in tutto il territorio nazionale. Meritano, infine, attenzione specifica le false cooperative diffuse in tutto il territorio nazionale, dove i dipendenti figurano come soci lavoratori, salvo lavorare come schiavi alle dipendenze del socio-padrone.
Evidenze che squalificano tutti coloro che continuano a pensare che lo sfruttamento e il caporalato siano espressione di arretratezza civile e imprenditoriale da relegare solo nelle aree più periferiche, marginali o meno economicamente sviluppate del paese, o a fenomeno solo mafioso e sempre meridionale.
D’altronde, una lavoratrice italiana o immigrata che nelle campagne foggiane, pontine o vittoriane subisce sfruttamento lavorativo e sessuale da parte di caporali e imprenditori criminali, come indaga in quest’ultimo caso il saggio di Federica Cabras e Monica Massari, non può non interrogare il funzionamento della democrazia, delle istituzioni, degli organi investigativi, degli Enti locali, sindacali, datoriali, del Terzo Settore e dei servizi sociali e i relativi limiti strutturali.
È all’interno di questa dinamica che si inserisce il volume di Avviso Pubblico che, nella sua elaborazione, accessibile e nel contempo articolata, permette di dipanare la complessità senza perderne il significato, fornendo dati, tesi, informazioni e soprattutto strade da percorrere perché si possano riscrivere le regole reali del mercato del lavoro a partire dal rigoroso rispetto della dignità dei lavoratori e delle lavoratrici e del relativo contratto di lavoro, come sottolinea nelle conclusioni Andrea Bosi, vicepresidente di Avviso Pubblico. Un sistema criminale che fattura, secondo Eurispes, solo nel settore agricolo, circa 24,5 miliardi di euro l’anno.
Denaro che foraggia un’ampia rete di soggetti, a partire da numerosi liberi professionisti che contribuiscono a rendere sofisticato e in continua evoluzione il fenomeno.
Sfruttamento, accelerazione della produzione evitando la messa in sicurezza, assenza di controlli, significano anche far precipitare migliaia di persone e famiglia nella tragedia del lutto.
Gli incidenti, spesso mortali, come nel recente caso della stazione ferroviaria di Brandizzo, che avvengono sul posto di lavoro sono dovuti al processo di delegittimazione del lavoro e dei diritti, a cui ha fatto seguito la loro relativa subordinazione al regime del profitto ad ogni costo, che riempie cimiteri e svuota le famiglie. Nel 2022, ad esempio, sono state 1.090 le vittime sul lavoro in Italia. Significa oltre tre vittime al giorno.
Donne e uomini di ogni nazionalità che escono di casa per lavorare e finiscono in una bara sepolta in un cimitero. Nel 2023 siamo a già 450. Sono numeri e soprattutto persone, storie, famiglie, progetti di vita, affetti, amori che finiscono per sempre. A livello ancor più sistemico si citano i dati del Dossier Statistico Immigrazione 2022, che confermano forme organizzate di segregazione occupazionale dei migranti secondo una sorta di condanna alla fatica e allo sfruttamento.
DISPARITÀ
Più di sei lavoratori di origine immigrata su dieci sono impiegati in professioni non qualificate o operaie, come manovali, braccianti, camerieri, facchini, trasportatori, addetti alle pulizie, e solo uno su tredici svolge un lavoro qualificato, peraltro spesso assunto dopo molti anni trascorsi in attività non qualificate e a grande rischio di sfruttamento e caporalato.
Il 32 per cento dei laureati immigrati lavora in una professione a bassa specializzazione o operaia, mentre il 19,6 per cento di loro svolge un lavoro part-time involontario, ovvero per mancanza di occasioni di impiego a tempo pieno, a fronte del 10,4 per cento degli italiani. Inoltre, il 34,3 per cento degli immigrati è occupato a termine o in part-time involontario, rispetto al 20,3 per cento degli italiani.
Anche sotto il profilo socio-demografico è evidente la rilevanza del rapporto tra organizzazione della democrazia e sistemi di discriminazione, segregazione e sfruttamento per italiani e immigrati, dovuto in primis all’accesso limitato e discriminatorio al welfare e alla partecipazione ridotta e non paritaria alla vita sociale e al mercato del lavoro italiano. Si consideri che, nel solo 2021, ultimo dato a disposizione, gli immigrati costituivano il 29 per cento di tutti i poveri assoluti del paese (Ricci 2023).
Tuttavia, solo il 12 per cento dei beneficiari dell’ormai ex reddito di cittadinanza erano di origine straniera, sconfessando quanti sostenevano che quel provvedimento rappresentava un’emorragia economica in favore degli immigrati e non degli italiani residenti, secondo la razzista tesi del “prima gli italiani”.
Questa discriminazione, ancora una volta, deriva dall’organizzazione dello specifico provvedimento di welfare e dalla volontà politica che lo ispira, confermata dall’attuale governo in carica, evidente nell’obbligo di possesso da parte dei migranti di un permesso di lungo soggiorno e di una residenza legale ininterrotta di ben 10 anni, requisiti sostanzialmente proibitivi per la maggioranza di loro.
Questo dato mette in luce lo stato di marginalità e fragilità a cui sono condannati in Italia migliaia di persone, così indotte a vivere condizioni sociali ed economiche precarie, espressione di una ricattabilità e fragilità di sistema imposta per volontà politica mediante una serie di norme e procedure a questo scopo orientate. Queste forme di “discriminazione istituzionale” (Guariso 2022) vengono peraltro sistematicamente bocciate dalle normative comunitarie, dalla Corte costituzionale italiana e dai numerosi tribunali ma continuano a essere perpetrate nel nostro paese con una noncuranza assai preoccupante.
Si aggiungano altre forme di discriminazione di natura amministrativa, sulle quali possono intervenire amministratori locali e sindaci consapevoli, come il diniego di apertura di un conto corrente o i ritardi nell’ottenere la residenza, precludendo ai migranti non solo l’assistenza sociale, ma anche l’assistenza sanitaria non emergenziale. Anche queste sono condizioni propedeutiche alla costituzione dello stato di povertà, fragilità e ricattabilità che costituiscono le fonti principali di sviluppo del sistema di sfruttamento e caporalato.
PRENDERE COSCIENZA PER CONDIVIDERE STRATEGIE
In definitiva, come il volume di Avviso Pubblico mette in luce, a fronte di una profonda deregolamentazione e precarizzazione del mercato del lavoro tout court, lo sfruttamento e il caporalato si presentano come uno dei livelli gerarchici attraverso cui si organizza, di fatto, il mercato del lavoro e nel contempo si rielabora il patto sociale tra le persone, che determina una delle più dirette e gravi ipoteche per lo sviluppo della democrazia e dello stato di diritto del paese.
Prenderne coscienza, a partire dalla difesa e completa applicazione della legge 199/2016, che è strumento normativo tra i più importanti contro lo sfruttamento, è fondamentale, anche alla luce dei contributi citati nel volume di due straordinari protagonisti delle battaglie per i diritti umani e del lavoro in Italia, quale quello su Jerry Essan Masslo (scritto da Bilongo) e quello di Marco Omizzolo Alessandro Leogrande.
Entrambi questi autori costituiscono il punto di riferimento per comprendere l’evoluzione delle condizioni di chi vive la marginalità e lo sfruttamento ma cerca di lottare contro questa condizione, permettendo alla democrazia di allargarsi e governare territori e interessi sinora lasciati drammaticamente in mano a poteri criminali, mafiosi e padronali.
Il sacrificio di Masslo e lo straordinario lavoro di inchiesta sociale di Leogrande dimostrano che esiste una lotta ancora possibile per affermare lo stato di diritto e la democrazia che è, per intenderci, la più importante opera pubblica di cui l’Italia e ha urgente bisogno.
Integrare e articolare analisi, proposte e politiche trasversali a partire dalla conoscenza approfondita di questi processi è dunque fondamentale e con questa pubblicazione Avviso Pubblico dimostra che si può aprire e percorrere insieme una strada fatta di politiche attive, qualificate, coraggiose e necessarie perché davvero la democrazia italiana sia fondata sul lavoro e non sullo sfruttamento.