Ettore Castagna, nato a Catanzaro nel 1960, è antropologo, insegnante, musicista e scrittore con all’attivo numerose pubblicazioni tra saggi, articoli per riviste e partecipazioni ad antologie a tema. Tredici gol dalla bandierina, edito da Rubettino nel 2018, è il suo secondo romanzo, e attraverso l’opera Castagna ripercorre un periodo di grandi cambiamenti in una terra dove, come si lamentano in tanti, “Non succede e non succederà mai nulla”. Il dialogo immaginario tra il giovane protagonista-narratore, Vito Librandi, e Massimeddu, vezzeggiativo di Massimo Palanca, ala sinistra del Catanzaro tra il 1974 e 1981 (e poi ancora tra il 1986 e il 1990) è lo sfondo di una storia con molte sfaccettature, di cui abbiamo parlato con l’autore.
“Ho impiegato circa due anni per scrivere Tredici gol dalla bandierina” ci dice Ettore Castagna, “Si tratta del mio secondo romanzo – dopo Del sangue e del vino del 2016 n.d.r. -, e per il primo avevo impiegato di più perché avevo dovuto prendere le misure con un tipo di scrittura diversa rispetto a quelle cui ero abituato. C’è molto di autobiografico in questo romanzo. La generazione di cui parlo è la mia. Ufficialmente il romanzo tratta di calcio e politica, ma in realtà racconta dei sogni di cambiamento di parte di una generazione vissuta al Sud. Credo che anche chi, negli stessi anni, è cresciuto in altre città meridionali possa ritrovarsi nel testo”.
Il narratore si rivolge a chi legge utilizzando un tono colloquiale, tono che ha il vantaggio di creare empatia col lettore ma porta con sé il rischio di essere poco credibile: “Sicuramente questa è stata una delle maggiori difficoltà durante la scrittura. Sono un buon conservatore, e ho tirato fuori dalla cantina lettere, volantini e giornali del periodo di riferimento per ricostruire un linguaggio specifico. Di fatto è stato un lavoro di filologia storica, e sono contento che molti lettori, miei coetanei, abbiano riconosciuto quel linguaggio”.
Una delle caratteristiche di Vito è quella di affrontare con il sorriso le frustrazioni: “Questa è una delle cose che mi piacciono di lui, sa ridere anche di se stesso. Del resto, i ragazzi del ’77 parlavano spesso di “Ironia al potere”, e uno degli slogan del movimento era “Una risata vi seppellirà”. Parliamo di ragazzi tutt’altro che superficiali, ragazzi molto impegnati politicamente, che affrontavano una rivoluzione, ma che avevano anche imparato la leggerezza necessaria appunto a ridere di loro stessi”.
Numerosi personaggi di Tredici gol dalla bandierina ripetono spesso che A Catanzharu non succede mai nulla, quando poi i fatti narrati dimostrano il contrario: “La provincia è sempre convinta di non esprimere nulla. Invece non fu così, ci fu uno scontro, più o meno politico, più o meno violento, ma ci fu. Anche se poi venne sconfitta, e costretta a emigrare, ci fu una generazione che ci ha provato, che ha coltivato sogni, parlato di ideali e diritti, e così facendo ha prodotto un cambiamento. Il romanzo contesta l’idea di un Sud sempre immobile. Siamo abituati a pensare che la storia nazionale sia stata fatta solo nei grandi centri come Roma, Milano e Bologna, ma la storia nazionale è fatta anche dalle tante tante storie locali”.
Nel romanzo, una scena di grande impatto è quella del corteo femminista dell’8 marzo, per cui le compagne rifiutarono il supporto dei compagni di sesso maschile, volendo mostrare da sole la propria forza e il proprio coraggio: “I fatti raccontati in quel capitolo sono davvero successi, e chiunque era a Catanzaro quel giorno non può non ricordarne l’atmosfera. Quel conflitto, del resto, in Italia è tutt’altro che risolto. Si trova ancora disagio di fronte alla donna che lavora, che vive a pieno la propria libertà. C’è ancora bisogno di impegno politico e culturale a favore della donna. Tutti vediamo quasi quotidianamente come la violenza della società continui a manifestarsi sulle donne”.
Nel ’77, queste ragazze che rivendicavano i propri diritti e la propria libertà venivano viste, da molti, come qualcosa di scandaloso e volgare. È possibile che, a trent’anni da adesso, cambi la percezione di manifestazioni oggi considerate da molti come volgari? “Questo è molto difficile da dire. La storia è il momento in cui viviamo, e per il futuro tutti gli scenari sono possibili. Mi viene in mente García Márquez, secondo cui la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla, e non mi sento di dire cosa ricorderemo, tra trent’anni, di quello che abbiamo pensato e vissuto oggi”.
I giovani che nel romanzo sono politicamente impegnati non apprezzavano i quotidiani che all’epoca andavano per la maggiore a Catanzaro, e manifestavano la propria voce, oltre che con le manifestazioni, attraverso volantini ed auto-pubblicazioni. Oggi internet permette una comunicazione con meno problemi logistici ed economici, ma forse anche con meno fascino: “È chiaro che, come con tutti i cambiamenti, qualcosa si guadagna e qualcosa si perde. Il web è vincente in termini di democrazia e rapidità, ma paga dazio alla sovraesposizione. Ci sarebbe da chiedersi quante informazioni arrivano davvero a destinazione”.
Il Catanzaro in Serie A ha davvero rappresentato un’intera regione, dinamica molto difficile da immaginare oggi, quando le rivalità sportive e non solo sono sempre più accese: “Vero, in Italia c’è molto campanilismo ed è molto diffusa anche la pratica di godere delle sconfitte e dei fallimenti altrui, di conseguenza per molti viene più facile “tifare conto” piuttosto che simpatizzare per qualcosa o qualcuno. C’è da dire però che quel Catanzaro fu un’eccezione per un motivo molto preciso: Massimo Palanca. Chi veniva allo stadio da fuori città non tifava per la squadra, ma per Palanca. Personaggio unico, timidissimo, con un fisico tutt’altro che da atleta, piccolino, spalle curve, quando era in campo era capace di giocate incredibili, dai gol dal calcio d’angolo richiamati dal titolo alle rovesciate. Era l’eroe dei poveri, la figura che faceva sognare tutti, che faceva credere che una squadra priva di mezzi economici potesse riuscire a battere squadre molto più ricche e di conseguenza più forti”.
Palanca era appunto un ragazzo molto timido, lontano anni luce dai giocatori di oggi che usano i social con disinvoltura, però viene facile pensare che, se avesse giocato oggi, sarebbe diventato comunque, e probabilmente suo malgrado, un idolo del web: “C’è anche da dire che avrebbe avuto ancora più difficoltà col gioco fisico di oggi. Inoltre era un ragazzo che soffriva la pressione, tant’è che quando andò al Napoli, dopo aver sbagliato due rigori si scoraggiò e non riuscì a risollevarsi. Al di là di questo, il giornalismo sportivo si occupò spesso di lui (ricordiamo che all’epoca il noto telecronista Sandro Ciotti lo definì “uno dei migliori sinistri d’Europa” n.d.r.), dedicandogli diversi servizi e documentari, alcuni dei quali riproposti sulle reti nazionali dopo l’uscita di Tredici gol dalla bandierina”.
Tra le soddisfazioni che il romanzo ha regalato a Ettore Castagna c’è l’annoverare tra i lettori proprio Massimo Palanca: “Pur scrivendo un libro in cui lui ha un ruolo importante, non lo avevo mai conosciuto di persona, finché il mio editore lo ha invitato alla prima presentazione. Aveva già letto e riletto il libro, e scherzando mi ha dato del matto perché avevo scritto di lui. Poi, durante la lettura pubblica di alcuni brani, si è commosso fin quasi alle lacrime, dimostrando grande sensibilità. Vederlo così toccato ha emozionato anche me”.
Ettore Castagna vive ormai da trent’anni a Bergamo; gli chiediamo che rapporto ha oggi con Catanzaro, sia come città che come squadra: “Torno a Catanzaro spesso, per brevi periodi. Con la città ho un rapporto affettivo e familiare, non più politico o culturale. Devo dire che non seguo la squadra, anche perché in generale non seguo il calcio. Non mi ha mai interessato, avrò visto giusto qualche partita dei mondiali. Anche per me Massimo Palanca ha rappresentato un’eccezione: ero affascinato dalla sua diversità rispetto alla norma, dalla magia che lo caratterizzava”.
Prima di salutarci, torniamo a parlare del protagonista Vito, uno che parlando di sé non si definirebbe mai un coraggioso, anche se in diverse occasioni dà prova di esserlo: “Questo perché il romanzo dimostra che il Sud del luogo comune non esiste. Il Sud non è inferiore, come Vito non è inferiore a un suo coetaneo cresciuto altrove. È un ragazzo coraggioso che ha la grande dignità di accettare il prezzo delle sue idee”.
Ettore Castagna, musicista già protagonista di diversi progetti musicali, da Tredici gol dalla bandierina ha tratto un reading/concerto. Si tratta di un vero e proprio spettacolo di teatro/canzone nel quale legge, recita, parla col pubblico, suona e canta, proponendo riarrangiamenti-stravolgimenti del cantautorato anni ’70. C’è da augurarsi, dato il valore del testo d’origine, che lo spettacolo, tra luglio e agosto, faccia tappa anche a Messina.
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