«Un gruppo di avventurieri si è impadronito del Partito socialista italiano», ebbe a dire in privato il leader comunista Enrico Berlinguer quando il 42enne Bettino Craxi fu eletto a sorpresa segretario del più antico partito italiano succedendo a Francesco De Martino. Un’ostilità quasi antropologica, quella del mondo comunista contro Craxi, che negli anni successivi ha contribuito a macchiarne l’immagine di statista ben prima della caduta rovinosa della Prima repubblica sotto i colpi delle inchieste milanesi di Mani pulite: per Berlinguer, che parlò di «mutazione genetica» del Psi, Craxi arrivò ad essere «un pericolo per la democrazia». E i manifestanti comunisti che nel 1984 protestarono contro il decreto di San Valentino che tagliava alcuni punti della scala mobile lo apostrofarono tra l’altro come «balilla fascista» e «Rex-dux-Crax».
La categoria dell’odio politico
Nel ventennale della morte il libro dell’inviato della Stampa Fabio Martini dal titolo Controvento, la vera storia di Bettino Craxi (Rubbettino, 202 pagine, 15 euro) ha innanzitutto il pregio, restituendoci il clima dell’epoca, di segnalare come la categoria dell’odio politico che tanto affligge oggi il dibattito pubblico fa il suo ingresso nella storia repubblicana proprio con e contro Craxi. E le ragioni, ovviamente, non sono solo “caratteriali” (anche se Craxi era l’antipatico per eccellenza, l’uomo «che non ebbe mai il sorriso sulle labbra» come ha annotato Giuliano Ferrara).
L’avversario trasformato in mostro
«Negli anni successivi alla sua uscita di scena lo stesso sentimento di odio sarà acceso da personaggi come Silvio Berlusconi, Matteo Renzi, Matteo Salvini e, in misura minore, da Massimo D’Alema e da Romano Prodi – scrive l’autore in un passo che val la pena di riportare per esteso -. In politica l’odio è un sentimento che si sprigiona da due emittenti. Si può attivare a tavolino contro un leader avversario investendo sulle oggettive diversità: esaltandole, criminalizzandole o semplicemente fotografandole. Il segreto sta nel condirle di quel sentimento ostile che poi diventa odio e compatta la tua opinione pubblica “contro” un avversario, che così si trasforma in mostro. È quel che ha fatto il Pci di Berlinguer con Craxi.
Tra innovazione e arroganza
Ma poi c’è una seconda emittente di odio. Ed è il leader stesso, con un’azione maieutica, ad attrarlo. «Di solito – e in Italia è accaduto questo – i capi che hanno attratto ostilità in quantità massicce sono stati quei leader che hanno sommato due caratteristiche: la carica oggettivamente innovativa e un tratto di arroganza. Craxi, Berlusconi, Renzi e Salvini sono personalità diversissime tra di loro ma corrispondono a questo identikit».
Il tema della democrazia «governante»
Rispetto a Berlusconi e Salvini, poi, Craxi (come Renzi) è stato un innovatore nel campo della sinistra. E dunque un riformista. E in questo campo politico gli innovatori, o coloro che ci provano, scontano un odio amico di pari se non maggiore ferocia dell’odio nemico. Non è un caso che Craxi fu il primo in Italia a porre la questione della democrazia «governante» (oggi si dice decidente) e a introdurre nel dibattito pubblico il tema della riforma del sistema istituzionale in senso presidenziale attirandosi le accuse di velleità dittatoriali. Anche se poi non seppe e non volle andare fino in fondo intestandosi la battaglia della modernizzazione della politica quando era il momento: ossia tra la fine del suo governo nel 1987 e lo ”scoppio” di Mani pulite nel 1992.
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