“La storia difficilmente si ripete, eppure a 50 anni dalla sconfitta del ’68 che voleva portare la fantasia al potere ma non diventò mai rivoluzione, restando rivolta all’autorità, si possono intravedere segnali di speranza per una nuova ribellione allo status quo, al potere delle grandi multinazionali che governano il mondo: è l’idea del governo ‘for the many, not the few’ del leader laburista Jeremy Corbyn attorno al quale è nato e cresciuto un imponente movimento giovanile”.
Giorgio Galli classe ’28, politologo, saggista e docente di lungo corso di Storia delle Dottrine Politiche all’Università di Milano gli anni della prima e seconda, ma anche terza Repubblica li ha vissuti, studiati, analizzati a fondo e descritti: ora 90enne in formissima non disdegna per stile e senso critico di avvalersi del droit d’inventaire.
“Il ’68 è stato una rivolta all’autorità, al potere, al patriarcato e quindi – attacca il decano dei politologi italiani – al comunismo, a quel comunismo impiantato con la ferrea, spietata e illiberale dittatura del proletariato nell’Urss, contrariamente a quel che aveva nel 1848 prospettato Marx nel Manifesto del Partito Comunista: apportò certamente un cambiamento nelle relazioni interpersonali ma perse per non essere diventato rivoluzione, non cambiò il mondo”.
Insomma, il ’68 non fu un’occasione, una delle tante, perse dalla sinistra per quell’alternativa credibile, praticabile affidale di governo restata solo un’aspirazione?
“Direi di no: il Pci era troppo schierato dalla parte dell’Urss e neanche la destalinizzazione del ’56 e poi l’invasione dell’Ungheria ne mutarono l’atteggiamento: anzi, sotto la rivolta del ’68, finita negli anni successivi nel terrorismo, non si capì che il capitalismo si stava riorganizzando e ristrutturando per approdare al libero mercato, alla globalizzazione per cui centinaia e centinaia di multinazionali ora governano il mondo al posto della Politica”. Ed e’ quel che denuncia con Mario Caligiuri in ‘Come si comanda il mondo.Teorie, volti, intrecci’ Rubettino editore, 2017 Saltando ai nostri giorni, lei intravede segni di un possibile, nuovo ’68 e, se ci sono, dove possono stare? “Direi in quel che sta facendo con coraggio e determinazione il leader laburista Jeremy Corbyn che, diversamente da Tony Blair, indica un’alternativa possibile: ridurre, circoscrivere, condizionare lo strapotere delle multinazionali restituendo alla Politica la sua funzione primaria, ossia il governo dell’economia – ‘for the many, not the few’ – nel segno dei valori fondamentali del socialismo delle origini che restano tuttora validi: uguaglianza, libertà, giustizia sociale, emancipazione. Un messaggio recepito, condiviso e sostenuto dai giovani riunitisi attorno a lui addirittura in un movimento organizzato”.
Ma non c’è solo Corbyn, nota Galli, in giro c’è anche un altro old man, Bernie Sanders che con il suo progetto Our Revolution ha saputo mobilitare attorno a se tantissimi giovani: e qui il politologo acutamente fa un’interessante osservazione e differenza con il deludente ’68.
“Allora nella foga della rivolta all’autorità, al potere, al patriarcato per l’aspirazione alla libertà i giovani misero da parte i più anziani ma quel moto di emancipazione non aveva un progetto costruttivo, un’identità solida. Oggi stranamente accade il contrario: i giovani seguono e si radunano attorno a due signori avanti con gli anni, Corbyn e Sanders, tanto che si parla di terremoto giovanile. Ecco perchè succede questo? Cos’è che mobilita i giovani di oggi, tra i quali molti classe ’99? E’ accaduto pure in Spagna con Podemos. Quanto sta venendo avanti nel Regno Unito e negli Usa è un chiaro segno di cambiamento che, mi pare, poggi su un progetto di forte correzione del capitalismo credibile”.
Resta l’Italia: il 4 marzo si torna alle urne, quali sono le sue previsioni?
“Non vedo da noi nè un Corbyn nè un Sanders: mi pare che a sinistra, intendo a sinistra del Pd, si sia ancora molto timidi, timorosi, nell’approcciare al socialismo delle origini e ai suoi valori. Mi auguro comunque un sussulto” conclude l’anomalo, ribelle politologo, che nel suo ultimo saggio: La stagnazione d’Italia. Dalla ricostruzione alla corruzione in dieci nodi della storia d’Italia dal 1945 al 2017 per Oaks edizioni, 2017, descrive le storiche grandi occasioni perse dalla sinistra per farsi forza di governo “per i molti, non per i pochi”.
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