Da La Stampa del 20 febbraio
Questa storia si è fermata su un incrocio infido, quello tra la politica, la religione e la poesia. Sì, perché il protagonista è uno dei più importanti poeti albanesi. Visar Zhiti è figlio di un poeta, Hekuran, anche attore e commediografo, scomodo per lo spietato regime comunista di Enver Hoxha fino al punto di essere stato rinchiuso in carcere, dove morì. Visar seguì le orme del padre che lo portarono, nel 1979, alla stessa destinazione: una cella di due metri per tre e, poi, il lager dei lavori forzati in miniera. La condanna a dieci anni era seguita al solito processo farsa, durante il quale l’accusa gli rimproverò di scrivere versi troppo ermetici, perciò tristi e contrari ai canoni del realismo socialista.
Visar ebbe più fortuna del padre. La caduta del regime di Hoxha gli aprì, dopo sette anni, con le porte del carcere, pure quelle dell’agognato Occidente, il paradiso della libertà e dell’opulenza. Il gusto della libertà lo assaporò subito; perché le sue poesie furono pubblicate e tradotte, oltre che in Albania, anche in molti Paesi europei e negli Stati Uniti. Quello dell’opulenza molto meno, perché, trasferitosi in Italia, visse poveramente con l’aiuto degli amici letterati che subito apprezzarono la sua poesia e con i proventi di qualche traduzione. Finalmente, il nuovo governo democratico riconobbe i suoi meriti e lo nominò, nel 1995, consigliere culturale e vice ambasciatore d’Albania a Roma.
A Roma
Quei cinque anni nella nostra capitale sono inebrianti per Visar, perché la frequentazione del mondo letterario di Roma allarga straordinariamente i riferimenti culturali della sua poesia. Zhiti, così, pubblica nel 1997 la sua prima raccolta di versi, Croce di carne e, subito dopo, la seconda, Confessione senza altari con un immediato successo. Il rientro a Tirana è altrettanto felice, non solo perché viene nominato ministro della Cultura, ma perché incontra la donna della sua vita, Eda, che sposa e che gli dà un figlio, Atjon.
La vita di Visar, che nel frattempo pubblica anche un bellissimo romanzo appena tradotto in Italia da Rubbettino con il titolo Il visionario alato e la donna proibita, specchio autobiografico dei tradimenti che l’Europa commette nei confronti dell’ Albania liberata dalla dittatura, sembra, perciò, percorrere i sentieri di una insperata serenità familiare e di una meritata rivincita letteraria. Ma la poesia, quando incrocia oltre alla politica anche la religione, pare costretta a un improvviso arresto.
Il no del vescovo
Tutto succede nel giro di due settimane. Il primo ministro albanese Edi Rama propone la nomina di Zhiti ad ambasciatore presso la Santa Sede. Il ministro degli Esteri, Ditmir Bushati, comincia ad avviare la complessa procedura con il Vaticano, quando arriva un alt davvero sorprendente. Il vescovo ausiliario di Tirana e di Durazzo, George Freddo, in un’intervista al giornale Gazeta Shqiptare, si dice contrario alla nomina, poiché Visar è musulmano e non cattolico. Ignora, infatti, che Zhiti, durante i suoi anni di carcere, si era segretamente convertito al cattolicesimo. Ma ignora o fa finta di trascurare pure il messaggio che, a settembre del 2014, Papa Francesco aveva lanciato sulla piazza di Santa Teresa di Calcutta, durante la sua visita a Tirana. Il pontefice, infatti, aveva motivato il suo viaggio in Albania con due ragioni: l’omaggio allo «straordinario esempio di pacifica convivenza religiosa» offerto da quel Paese e all’«eroica resistenza della comunità cattolica» durante una dittatura comunista che, proprio nella Costituzione, imponeva l’ateismo come credo di Stato, per cui il solo dichiararsi credente costituiva una violazione di legge.
Il presidente ostile
L’intervista del vescovo Freddo poteva essere considerata una gaffe, anche perché era seguita da una sua imbarazzata precisazione, molto somigliante a una ritrattazione, in verità. Peccato, però, che viene colta, da parte dei più o meno occulti nemici di Visar, come un provvidenziale pretesto per bloccare la sua nomina alla Santa Sede. Nel frattempo, il Parlamento albanese, con una risoluzione unanime, firmata sia dalla maggioranza governativa, sia dall’opposizione, manifesta il consenso al poeta anche con la ragione che la sua presenza come ambasciatore in Vaticano sarebbe utile per «affermare i valori di laicità dello Stato». Il nunzio apostolico, inoltre, preannuncia il sicuro gradimento alla nomina, ma è proprio il presidente albanese, Bujar Nishani, a capeggiare il gruppo di coloro che vogliono impedirgli il ritorno a Roma, sull’altra sponda del Tevere.
Le versioni di questa ostilità, naturalmente, sono diverse. Quella più benevola parla del disappunto di Nishani per essere stato scavalcato dal primo ministro nella designazione di Visar, quella forse più fondata svela un retroscena che non giustifica l’opposizione presidenziale solo per una ferita all’orgoglio gerarchico, ma racconta di un antico pregiudizio negativo nei confronti di un poeta ribelle, o ex ribelle. Nishani, infatti, all’epoca del regime di Hoxha, era un ufficiale dell’esercito e, forse, è il suo passato a frenare l’entusiasmo per una carica che premierebbe un intellettuale non disposto a seguire supinamente i desideri del potere, qualunque questo sia.
L’ombra del vecchio regime, dunque, sembra inseguire Visar Zhiti senza scampo, come di nuovo cattivo è stato il destino sulla sua felicità familiare. Due mesi fa, l’adorato figlio Atjon, studente all’università cattolica di Milano, torna per una breve vacanza a Tirana. Ma, appena in Albania, il suo sorriso si spegne per sempre sulla sella di una moto, in un terribile schianto.
di Luigi La Spina
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