Messa da parte l’illusione della “fine della storia” il XXI secolo si è aperto all’insegna della polverizzazione della “elegante semplicità del mondo bipolare”. Ne è scaturito un ordine internazionale frazionato, instabile, caratterizzato dall’entrata in scena di nuovi attori. Nello stesso spazio globalizzato operano ormai Stati, organizzazioni sovranazionali, aziende multinazionali, gruppi criminali e terroristici di varia natura: un turbinio costante di interessi divergenti, accelerato dai meccanismi della mondializzazione (e dalla reazione ad essi), che genera “zone grigie” in cui è più semplice coltivare attività illecite o eversive. Una marea disordinata, culminata con gli attentati dell’11 settembre, che ha innescato un ricco dibattito sulle nuove categorie d’interpretazione del concetto di sicurezza, a partire da quella di asimmetricità.
In questo filone s’inserisce di diritto anche la ricerca di Caligiuri e Sberze che indaga un aspetto del problema, la dimensione marittima della sicurezza nazionale, non ancora sufficientemente analizzato. Motore principale della globalizzazione economica, il trasporto navale, e tutte l’infrastrutturazione logistica al suo servizio, a partire dal sistema portuale, necessita di un rinnovato interesse sotto il profilo dell’intelligence: in particolar modo per un Paese come l’Italia caratterizzato da un’enorme estensione delle coste (circa 8.000 chilometri), al centro di un’area instabile politicamente, come il Mediterraneo attuale, e pur tuttavia interessato ad attrarre i traffici merci in crescita che passano per il Canale di Suez.
Nonostante qualcosa si sia fatto a livello normativo nazionale e internazionale, con l’introduzione, ad esempio, del concetto di security che è andato ad affiancare quello più tradizionale di safety, i pericoli derivanti da una “infiltrazione” dei porti sono ancora altissimi. “Gli stessi meccanismi che dipendono dall’interazione tra più fattori interni al sistema marittimo e portuale sono quelli che garantiscono di fatto tanto i flussi leciti quanto quelli illeciti”.
L’avvertenza degli autori fa qui riferimento ad un rischio concreto, soprattutto per il nostro sistema paese: la possibile convergenza di interessi tra criminalità organizzata e terrorismo. “Il container e la natura della logistica che contribuisce alla sua movimentazione sono di fatto quel ‘mezzo’ che preoccupano gli apparati di sicurezza”. Da qui l’obiettivo strategico di contrastare la “quinta colonna” all’interno del Paese con un’azione di prevenzione adeguata. Attraverso una puntuale disamina dei complessi meccanismi delle attività logistiche, dei punti attaccabili del sistema e della natura tutto sommato coincidente dei vari interessi illeciti il ruolo della criminalità organizzata e la vulnerabilità del network portuale nazionale nei confronti del terrorismo sono così invitati ad essere considerati sullo stesso piano “perché entrambi i fenomeni sanno come utilizzare i trasporti marittimi per i propri scopi”.
Sotto questo aspetto l’intelligence portuale “diviene una priorità per controllare ciò che entra e ciò che esce” poiché l’attività navale è allo stesso tempo target e veicolo “per ottimizzare una movimentazione che corre lungo l’asse locale/globale dei flussi commerciali”. Un’intelligence che si dovrà pensare “flessibile e visionaria”, in grado di interpretare la realtà su più livelli, che “non si limita alla comprensione del sistema portuale per sé” ma integra le informazioni locali con quelle che giungono o sono raccolte all’esterno.
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