Il partito trasversale che detesta la scienza (corriere.it)

di Antonio Carioti, del 10 Dicembre 2013

Elio Cadelo, Luciano Pellicani

Contro la modernità

Le radici della cultura antiscientifica in Italia

da corriere.it del 10 Dicembre

I teocon della bioetica o atei devoti, nella polemica (oggi un po’ illanguidita) contro le tecniche di procreazione assistita, sono soliti citare le opinioni, convergenti con le loro, di alcune femministe e diversi ambientalisti, allarmati per questa ennesima forma di manipolazione della natura. Il ritornello suona più o meno così: «Non lo vedete? Anche a sinistra i più sensibili capiscono a quali disastri possono portare le tecnoscienze».
In realtà non si tratta affatto di una consonanza strana, tanto meno in Italia. Come dimostra abbondantemente il libro di Elio Cadelo e Luciano Pellicani “Contro la modernità” (Rubbettino), lo spettro delle ideologie antiscientifiche è assai variegato, si estende dall’estrema destra (uno dei padri dell’ecologismo fu Walther Darré, ministro del Terzo Reich) all’estrema sinistra (pensiamo all’idolo dei sessantottini Herbert Marcuse), passando per varie forme di integralismo religioso.
Alla radice di tutto c’è quella che Pellicani chiama «evaporazione dell’incantamento divino del mondo», che priva l’uomo del rango di creatura privilegiata e lo confina al ruolo di abitante provvisorio di un pianeta insignificante sperduto nel cosmo. Le reazioni possibili a questo trauma sono parecchie, dal perseguire la palingenesi rivoluzionaria al vagheggiare il ritorno di un’etica arcaica, ma tutte trovano nel rifiuto della modernità la loro cifra di fondo, senza curarsi troppo dei benefici materiali smisurati che il progresso tecnologico e il libero scambio delle merci hanno arrecato a gran parte del genere umano.
Si possono discutere certe argomentazioni di Cadelo e Pellicani: le colpe di Benedetto Croce e Giovanni Gentile per l’arretratezza scientifica dell’Italia, su cui il libro insiste, sono da ridimensionare, visto che quel ritardo si è molto accentuato dopo la fine dell’egemonia culturale idealista; l’ormai sfumata costruzione del ponte sullo stretto di Messina, verso cui gli autori mostrano simpatia, difficilmente poteva essere considerata una scelta saggia sul piano economico.
Nel complesso però la denuncia contenuta in queste pagine va condivisa in pieno: se si trascura la ricerca, se si inducono i giovani talenti scientifici a emigrare, se addirittura settori promettenti (come le biotecnologie) devono subire veti e proibizioni in base a pregiudizi ideologici, poi è inutile lamentarsi del declino cui pare avviato il nostro Paese. E purtroppo si tratta di un processo che dura da molto tempo, come dimostra una vicenda degli anni Sessanta ricostruita da Francesco Cassata nel saggio “L’Italia intelligente” (Donzelli): lo smantellamento del Laboratorio internazionale di genetica e biofisica creato a Napoli su iniziativa di un grande studioso come Adriano Buzzati-Traverso (fratello dello scrittore Dino Buzzati).
La scienza in Italia non gode di buona fama. Di fronte al suo linguaggio specialistico e alle trasformazioni sconvolgenti che prospetta, è fin troppo facile alimentare la paura del nuovo. E del resto il degrado ambientale non è affatto un’invenzione, anche se andrebbe razionalmente comparato alle penose condizioni di vita dei nostri avi. Ma se il genere umano ha un futuro, esso dipende in modo decisivo dall’incremento delle conoscenze scientifiche e dalle loro applicazioni. È la sfida che Dante mette in bocca a Ulisse: densa di rischi (inutile negarlo), ma ricca di opportunità.

di Antonio Carioti

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