Invece di chiedersi perché lo fanno, il presidente dei soloni (nessuno storico) che per incarico della Fedeli hanno riformato quel po’ che restava dell’esame di maturità, ha così giustificato l’abolizione del tema di storia: “Quella traccia era scelta dall’1% degli studenti…”.
Il professor Serianni avrebbe dovuto invece suggerire alla non rimpianta ministra Pd e al suo successore, il leghista Bussetti, esecutore silente del perverso suggerimento, di ripensare a come ormai si insegna la storia nelle scuole. A come si formano e reclutano e trattano i docenti.
Al valore, irrinunciabile per una formazione civicamente consapevole dei giovani, di una corretta comprensione critica dei complessi, spesso conflittuali e non lineari, eventi e processi che hanno contribuito nel tempo a fare di noi e del mondo in cui viviamo quello che siamo. E ad adottare, poi, qualche misura utile a prevenire ulteriori disastri (culturali e no) e a porre rimedio alle tante carenze che affliggono il sistema educativo italiano e che spiegano anche le scelte dei maturandi.
Con l’istruzione da decenni all’ultimo posto nelle priorità effettive (e ora anche in quelle enunciate) dei governi di ogni colore che, per guadagnare voti immediati, si son mostrati e si mostrano solo corrivi ad adottare riforme ispirate da istanze lassiste o beceramente corporative, causa anch’esse, ed effetto ulteriore, del degrado materiale e culturale dominante nel Paese.
Ai due lodati ministri, ai loro epigoni (e, naturalmente, non solo a loro) mi permetto di suggerire di dare almeno una scorsa alle pagine, problematiche ma illuminanti, di Emarginazione della storia e nuove storie, un libriccino curato da Giuseppe Galasso e pubblicato postumo in questi giorni dall’editore Rubettino. Vi troveranno utili riflessioni sulla storia dibattute da storici veraci in una giornata di studio organizzata per celebrare il venticinquennale del “Centro europeo di studi normanni”, fondato e animato da Ortensio Zecchino, alla cui attività il princeps degli storici del secondo Novecento ricorda di aver «molto partecipato».
Lo studio della storia – sottolinea – «è una di quelle attività culturali che hanno più immediata, diretta e profonda relazione con l’insieme della vita civile di ogni tempo, popolo e paese». Ed è «evidente» la sua funzione «come momento identitario fondamentale nelle vicende dei singoli e delle collettività» e «come componente, altrettanto costitutiva, della memoria e dell’immaginario individuale e collettivo».
La messa in discussione della storicità «come dimensione del mondo e dell’uomo» appare a Galasso in profonda relazione con la crisi dell’identità europea. Quando la civiltà europea ha trovato il suo massimo sviluppo, la storia è stata «il culmine» della visione del mondo. La crisi europea spiega perciò (anche) l’attuale «emarginazione» della storia e, a sua volta, dipende dalla crisi della storicità come fondamento di un modello culturale che si va perdendo.
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