Nella storia d’Italia il fenomeno dell’emigrazione è stato di proporzioni enormi. L’impatto sulla società italiana post-unitaria è stato talmente forte da divenire un tema privilegiato della nostra letteratura, a cominciare da un libro considerato centrale per la formazione dello spirito nazionale italiano, Cuore (Treves, 1886) di Edmondo De Amicis, che ci ha lasciato lo struggente racconto significativamente intitolato “Dagli Appennini alle Ande”. E nel lunghissimo arco temporale di oltre cento anni si può probabilmente considerare come ultima grande narratrice dell’epoca dei “viaggi della speranza” la scrittrice italo-argentina Syria Poletti (Pieve di Cadore 1917 – Buenos Aires 1991) che con Gente conmigo esprime poeticamente in modo definitivo la grande questione dell’emigrazione italiana.
Questo romanzo, in buona parte autobiografico, pubblicato nel 1961 in Argentina e in molti altri Paesi, è stato tradotto e pubblicato in italiano per la prima volta nel 1998 grazie alla studiosa italo-argentina Claudia Razza. Adesso, ad oltre trent’anni dalla morte dell’autrice ed a circa venticinque anni dalla prima edizione, ritorna nelle librerie Gente con me (Rubbettino, 2022, 278 pagine, 19 euro). Questa nuova edizione arriva al lettore italiano con l’efficace traduzione, la cura e la postfazione di Claudia Razza e un’interessante nota di Margherita Ganeri, direttrice degli “Italian diaspora studies”, la quale evidenzia che la traduzione “restituisce tutta la ricchezza della scrittura interculturale di Poletti, che sottende, sotto lo spagnolo, la continua interferenza dell’italiano”.
Syria Poletti trasferisce una parte della sua vicenda personale nel personaggio principale, Nora Candiani, ventunenne che emigra in Argentina nel 1938. È l’occasione per l’autrice di raccontare, con uno stile fluido ed una costruzione avvincente, la storia dell’emigrazione italiana in Argentina e dei numerosi personaggi che la protagonista ha incontrato nel corso della sua attività di traduttrice, talvolta caricaturali e grotteschi ma sempre carichi di un’umanità autentica: il principe Zedir, pianista squattrinato malato di tubercolosi bisognoso dell’assistenza sociale; Valentina, la bella ragazza siciliana che aveva sposato per procura un marito che non amava; le peripezie una famiglia calabrese che aveva lasciato in Italia un figlio, Raffaele, per il quale non riusciva ad ottenere il visto d’ingresso perché affetto da una grave forma di scoliosi; Gaston Richard, celebre sarto di Buenos Aires grazie al quale un’organizzazione clandestina di trafficanti specializzata nell’eludere le norme sull’immigrazione riuscì ad accedere in Argentina e altri ancora. E, soprattutto, Renato, l’amore, con il quale il tutto riveste un colore diverso e, si misura, in un prima e dopo di lui: “Renato entrò nella mia vita. La trasformò. Si trasformò anche nel miglior alleato di Bertina. E tutti e due vollero insegnarmi a camminare”.
Nel 1922 la famiglia di Syria emigrò in Argentina, lasciandola in un paesino del Friuli-Venezia Giulia, Sacile, con la nonna, che le trasmise il “mestiere raro” (scrivana applicata a scrivere e leggere la c orrispondenza). Nel romanzo, la nonna ricorda a Nora: “Tu hai nel sangue il tuo mestiere […] tu hai il tuo mestiere in qualsiasi parte del mondo […] i mestieri sono di Dio […] Bertina è come le donne delle Dolomiti […] Porta la razza dentro di sé “. Significativa anche la presenza della tenace sorella maggiore Bertina che, prima da Milano e poi dall’Argentina, inviava alla sorella le rimesse, frutto del suo lavoro. E dall’Argentina, Bertina, riuscì ad ottenere il visto d’ingresso anche per la sorella, una prima volta negato a causa della scoliosi. Così finalmente, Nora e Bertina a Buenos Aires diventarono una famiglia nella famiglia, dopo aver rintracciato nel Chaco i loro genitori, ma Nora racconta: “Una strana famiglia ritrovata intatta nei suoi membri e persino aumentata, ma sconosciuta, estranea, come remota o straniera nella sua intima struttura. Una famiglia di dispersi […] dopo quindici anni di separazione […] il lungo distacco aveva deviato i canali naturali degli affetti […] Eravamo sconosciuti che cercavano di rifugiarsi sotto la fronda inefficace dello stesso cognome […] Solamente tra Bertina e me correva la stessa linfa. Forse perché eravamo cresciute da una stessa ferita[…] Ognuno si stringeva al proprio deserto […] Scaricavamo sui nostri genitori la colpa dello scombussolamento e del lungo danno dello sradicamento […] Sentii verso di loro malinconica pietà”.
Gente con me approfondisce, con realismo, una condizione esistenziale che, al di là delle vicende specifiche narrate nel romanzo, accomuna milioni di italiani che, nel tempo, hanno dovuto, spinti dalla miseria, abbandonare la patria ed i propri cari. Persino in un lavoro di comunicazione, quale era il lavoro di Nora come traduttrice, emerge il senso tragico della solitudine: “C’è stata gente con me. Gente per la mia solitudine […] mi ignorano tutti. Per loro la traduttrice è un’impiegata con un grado tecnico superiore a quello della dattilografa […] mi ritrovo ad oscillare tra due mondi che non mi appartengono”.
A rendere ancor più autentico il racconto è il linguaggio che rispecchia la quotidianità della vita argentina, uno spagnolo che ha affascinato immediatamente Syria Poletti, sin dal suo primo contatto con il “Nuovo Mondo”, al punto da ammettere di averlo incorporato “per un amore ammirativo”. Il “Nuovo Mondo” aveva, però, anche un risvolto molto amaro ed inquietante per moltissimi parenti degli emigrati: era “il mostro”, perché chi aveva lasciato la terra d’origine si dimenticava di dare notizie, sparendo letteralmente: “Dicono che in America c’è un mostro che s’ingoia il cuore dei figli […] Gli devono lasciare il sangue al mostro”.
Realistico ed appassionante, Gente con me è certamente uno dei romanzi più importanti del secolo scorso e non meraviglia che un grande scrittore come Jorge Luis Borges abbia indicato l’italiana Syria Poletti come la migliore e la più autentica scrittrice argentina.