IL LIBRO. Storia e cultura dei Brettii, di P.G. Guzzo. Rubbettino (zoomsud.it)

di Paolo Veltri, del 9 Aprile 2019

L’origine dei Brettii? Secondo lo storico Diodoro schiavi fuggiaschi, per il geografo Strabone invece pastori ribellati ai Lucani. Ancora Giustino li considera pastori dei Lucani che insegnano ai figli dei loro padroni a sopravvivere nella selva, bere acqua dalle fonti anziché vino, quella che oggi chiameremmo vita austera. L’identità del popolo brettio, che ha abitato la Calabria durante l’epoca ellenistica, ancora oggi non è chiara agli esperti dopo un secolo di scavi archeologici e ricerche universitarie.

Prova a fare luce lo studioso Pier Giovanni Guzzo con il saggio Storia e cultura dei Brettii, uscito per Rubbettino, in cui esamina il periodo che va dal IV secolo avanti Cristo all’espansione romana nel sud Italia. Guzzo, da fine conoscitore della materia, spiega da subito come «la mancanza di una solida istituzione statuale, sommata a quella di una cultura non sempre identificabile con nettezza, ha reso sempre evanescente il raggio di estensione della realtà identitaria brettia, molto probabilmente ridotto a quello di singola tribù». Ma poi racconta: «anche se una tale lettura sembra contraddetta dalla tradizione storiografica relativa all’apparizione, nel 356, di quella indifferenziata, ma apparentemente omogenea, moltitudine alla quale è stato dato il nome di Brettii».

Il crollo della tirannide di Dionisio può dar campo libero fra i Brettii alla volontà di autonomia che non si era potuta manifestare né giungere a compimento.

La data del 356 avanti Cristo, l’anno in cui sarebbe proclamata l’autonomia dei Brettii (o Enotri?) dai Lucani, rappresenta un momento di svolta per questo popolo che si trova anche a fronteggiare la potenza di Dioniso Vecchio e Giovane. Con l’indipendenza fin da subito si sarebbero riuniti in una confederazione formata da (21?) cantoni, retti a loro volta da magistrati, secondo regole “democratiche” valide solo per gli individui maschi abili alle armi. Dell’efficacia della confederazione, sostiene Guzzo, i moderni non dubitano anche se siamo in mancanza di fonti di informazione su testi epigrafici. Quel che è sicuro che i Brettii intraprenderanno una seria di rivolte contro le città magnogreche di Kroton, Terina, Hipponion e Thurii. Desiderano passare dall’economia pastorale a quella agricola, conquistano territorio, e sono una spina al fianco del nascente impero romano a cui però si sottomettono.

La documentazione ci indica che i Brettii di questo cantone avessero fatto proprie le abitudini religiose dei Crotoniati, ai quali si deve l’originaria istituzione del tempio e del culto di Apollo.

Nel testo edito da Rubbettino è dedicata un’ampia porzione alle evidenze materiali attribuibili ai Brettii, tra i quali le monete con la sigla Brettion, cui secondo l’autore hanno sviluppato territori dalla costa jonica alla valle del Crati, del Neto, nell’istmo lametino e nel Tirreno cosentino integrandosi negli abitati esistenti e costruendo città fortificate. Come sostiene l’archeologo Guzzo a Cirò marina restaurano il tempio di Punta Alice, nel comprensorio di Monasterace dopo l’uscita di scena di Dionisio il Giovane «la città di Kaulon è stata mutata in una città italica: possiamo ritenere, ormai, brettia». Sono narrate poi le vicende che riguardano l’arrivo dei Romani e il sostegno (non unitario) brettio al condottiero Annibale.

I Brettii erano venuti alla luce della storia con azioni militari condotte in proprio ma anche in collegamento con altri: altrettanto accadde per la loro fine.

Il Senato romano, ripreso il controllo del territorio dei Brettii, intorno al 200, stabilisce che non possono più prestare servizio militare. Lo sfruttamento delle risorse boschive e pastorali della Sila, poi, fa gola al nascente impero e secondo Guzzo possiamo dedurre come «una parte dei Petelini e dei Cosentini, quella dei maggiorenti, avesse tratto beneficio dalla presenza romana», già prima della caduta definitiva della confederazione brettia.

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