Una maratona di parole ▻Questa è una storia nella quale chi corre si chiama Muhammad Ali e chi sale sul ring per fare a pugni è suo fratello, di nome fa Tommie Smith. Questa è una storia che cita la realtà e la deforma, mescola personaggi di fantasia ad altri reali (Martin Scorsese, Xi Jinping) eppure quelli reali sembrano più inventati dei finti. Come in ogni libro di Marco Ciriello, un amico di Slalom, anche con questo si finisce dentro un mondo a parte, dove la vita esiste per essere manipolata e cammina di fianco alla trama, si lascia ingoiare fino a confondersi.
Nei suoi romanzi precedenti aveva raccontato un allenatore di calcio malinconico alle prese con il dramma di una moglie malata (Per favore in dire niente), una tennista che lascia dopo aver visto la Madonna durante un match con Serena Williams (Le sorelle Misericordia), un finto Bielsa che tiene una rubrica di lettere (Il catenaccio mi sta antipatico), un Diego vicino di casa nella Napoli anni Ottanta (Maradona è amico mio). Ciriello è stato selezionato dallo Strega per un romanzo su Giancarlo Siani (Un giorno di questi) e da Gianni Mura per i 100 nomi dell’anno, quando ha riletto il calcio e la politica recenti alla Edmondo Berselli (Il più maldestro dei tiri).
Un eventuale diagramma che volesse provare a contenere tutte le sue invenzioni, dovrebbe avere ai poli opposti delle ordinate il tono lirico e il tono grottesco, se fosse cinema diremmo un mood alla Scola e uno alla Ferreri, mentre sul piano delle ascisse gli stili, uno più classico e lineare, l’altro mosso e ondulato.
I leggeri di Nairobi stanno più verso il polo Ferreri e con pagine molto diverse l’una dall’altra, divise in movimenti come si trattasse di una sinfonia, perché molte sono in effetti le voci dentro la storia di questo maratoneta africano bambino finito dentro due vicende più grandi di lui: una campagna da testimonial dell’azienda NK per certe scarpe con cui dovrà correre 42 km sotto le due ore e uno scontro fra Stati, addirittura, per accaparrarselo.
Altre recensioni di certo usciranno. Intanto Gioacchino Criaco sul Riformista è davvero felice quando scrive che “Marco Ciriello è il miglior interprete della letteratura Nera contemporanea, figlio della terra più Nera d’Occidente: la Campania. L’ha fatto con una scrittura folle, malsana, che chiede al lettore impegno, sacrificio, portandolo fra il surreale e l’irreale dentro le forze e le dinamiche che governano le nostre esistenze. Spiegando il mondo con un paio di scarpe”.
Dopo aver raccontato in passato ne Il Vangelo a benzina la prostituzione nigeriana di Castel Volturno, con una indagine affidata al trucido Claudio Valenzi, 56 sigarette al giorno, un cancro alla prostata e molto sesso praticato con le registrazioni dei discorsi del Duce in sottofondo, Ciriello ha scelto un tono altrettanto scanzonato, da discepolo di Benni, per descrivere un’Africa finalmente gloriosa. Ha dato il nome di due scrittori come Vollmann e Occhiuto a un industriale visionario e a un padre comboniano. Ha messo in scena un meraviglioso tennista chiamato BD. Ha scritto il suo ennesimo romanzo che se ne frega dei canoni e che all’ultima pagina ci lascia con un dubbio: se sia la realtà a copiare lui oppure lui diabolico nel prevederla.
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