Da La Civiltà Cattolica del 1 novembre
Nonostante se ne parli sempre di più, i laici mantengono un ruolo marginale all’interno dell’ordinamento della Chiesa cattolica. La loro partecipazione alla vita della Chiesa è una partecipazione tutt’al più vicaria, ma mai piena e consapevole, come invece avrebbe voluto il Concilio Vaticano II. Eppure la struttura di Chiesa che conosciamo e che sembra così difficile da riformare — pensiamo solo al grande dibattito interrotto su un maggiore coinvolgimento e partecipazione delle donne — non è l’unica forma che sia mai esistita. In questo erudito quanto agile saggio, don Ubaldo Cortoni, monaco camaldolese e storico della Chiesa, dimostra come attraverso lo studio attento delle fonti storiche e una rivalutazione priva di pregiudizi degli stessi movimenti ereticali sia possibile rinvenire nel passato della Chiesa alcune soluzioni a problemi che sembrano invece nuovi e inattesi: dal rapporto tra laici e clero al ministero delle donne, dalla pluralità della riflessione teologica alla compresenza di forme liturgiche diverse. La storia del laicato si sviluppa a partire dalla distinzione dell’unico corpo di Cristo in tre ordini — laici, monaci e chierici — formalmente riconosciuti nei sinodi della Chiesa carolingia dei secoli VIII e IX, dopo essere stati già enunciati dai Padri nei loro scritti. Una distinzione che nella Chiesa altomedievale non appare immediatamente come una separazione tra coloro che partecipano alle cose sacre e coloro che, vivendo nel secolo, vengono esclusi dalla pratica di quelle virtù cristiane che aprono la vita del credente alle beatitudini evangeliche. Solo il lento e inesorabile processo di clericalizzazione della Chiesa a partire dal secolo XI ha portato a una separazione dei chierici dai laici, riassunta nell’opera giuridica di Graziano, il quale per la prima volta distingue il popolo di Dio in due generi, sottolineando il rapporto problematico tra battezzati rispetto a una diversa partecipazione dei singoli cristiani alla vita della Chiesa. Dal bisogno di difendere le prerogative del clero per quanto riguarda la predicazione, nella Chiesa bassomedievale, fortemente rimodellata dalle riforme gregoriane, emerge l’immagine di un laicato interessato al recupero del messaggio evangelico, motivo per cui esso venne dichiarato molto spesso «eretico». Da Lucio III a Bonifacio VIII, la Chiesa ha visto con sospetto tutti quei movimenti laicali che, per ritornare a una vita cristiana ispirata ai valori evangelici, riprendono in mano autonomamente le Sacre Scritture, leggendole in volgare e predicando al popolo senza l’autorizzazione delle autorità ecclesiastiche, non facendo alcuna distinzione tra uomo e donna. Furono i movimenti laicali bassomedievali a riconoscere per primi l’uguaglianza tra uomo e donna, e a costituire comunità di fedeli riuniti attorno all’ascolto della Parola di Dio. Il laicato manterrà questa sua vocazione ispirata a un ritorno alla pratica delle virtù evangeliche sino ai tentativi di rinnovamento della vita ecclesiale dell’umanesimo rinascimentale, che culminarono nella Riforma. Tutto questo permise al padre domenicano Yves Congar di affermare, in pieno svolgimento dei lavori del Concilio Vaticano II, che il rinnovamento sarebbe venuto dai laici, riconoscendo ad essi implicitamente una forza innovatrice che ha contrassegnato la storia del popolo di Dio. La teologia sviluppatasi nell’immediato post-Concilio ha riconosciuto la forza di questa storia fatta di uomini e donne raccolti intorno alla Scrittura nel tentativo di dare forma a una Chiesa ispirata ai precetti evangelici, recuperando uno sguardo positivo sul mondo, dando voce ai travagli dell’umanità attraverso le teologie contestuali (J. Moltmann), e affermando una dignità teologica dell’uomo e della donna come espressione viva di Dio nella storia (K. Rahner).
di Giancarlo Pani
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