Che, per lei, Il cielo comincia dal basso Sonia Serazzo l’aveva ben fatto intendere nei suoi libri precedenti, in particolare quello pubblicato con il suddetto titolo. Chiedo istruzioni alla notte – il nuovo libro, uno scambio di lettere tra lei e Antonio Cavallaro, responsabile dell’Ufficio digitale di Rubbettino, editore da sempre della Serazzi – precisa ulteriormente l’orizzonte di senso in cui la scrittrice calabrese si muove e che dà linfa alla sua scrittura.
Scritte a cavallo tra il 2020 e il 2021, in una fase segnata per tutti dall’isolamento da Covid, le lettere di Serazzi e Cavallaro sono uno scambio di riflessioni sulla loro quotidianità, attraversata anche dalla morte di persone care e rischiarata, anche nei momenti di buio, dalla fede che li accomuna “in un Dio che abita in noi, e che da sempre cuce pelle da aggiungere alla pelle di quelli che si scoprono nudi”.
Più orientato a razionalizzare Antonio Cavallaro, che ama confrontarsi col pensiero di grandi teologi a partire da san Tommaso d’Aquino, sant’Agostino, Sant’Ambrogio: “Ammiro la capacità e il coraggio di vivere il Cristianesimo senza lasciarsi appesantire dalla mania di voler capire e scandagliare tutto fino in fondo. Una capacità e un coraggio che io non ho. (…) Non sono fatto per le piccole vie: preferisco le corse ad ostacoli della ragione. (…) So che oggi vediamo in modo confuso come in uno specchio, scriveva san Paolo… Eppure non so arrendermi. (…) Nonostante ne avverta la necessità, non so rinunciare ad alcuno dei miei rami.”
“Ai rovelli che ti arruffano la mente”, Sonia Serazzi risponde con un lungo lavoro di “potatura” appreso da santa Teresina di Lisieux: “Per me ho compreso che mi sostiene quello che è piccolo e trasparente, e mi ci sono avvoltolata per vivere. Insomma a Dio non ci penso da quando sono diventata stupida, ma di sicuro il Signore guadagna ampiezza e profondità dalla mia rinuncia. (…) Io credo in un Dio che dilata l’anima, o forse la affila in profondità, perché la sapienza – quella che viene dal Signore – accende ogni cosa, incurante del verso, del dritto e del rovescio, restando radiosa.” Per questo “ho semplicemente stabilito di stare dove sto, al mio posto, senza agitarmi troppo, solo affondando radici. Ho amato il paese abitato dai miei genitori, la chiesa che c’era e il prete che ho trovato dietro l’altare, ma tutto il mondo mi pare comunque a portata di mano.” E “da tempo ho intuito che il segreto d’ogni giorno è guardare il secco dalla parte del fiore. Cerco di dirti che nessun ciliegio d’autunno dice la verità, se non consideriamo il profumo della fioritura che verrà, cadendo poi per il rosso di un frutto che ci addolcirà il futuro.”
La fede di Cavallaro e Serazzi non è posta in un Dio generico ma nel Dio di Gesù Cristo, il “Dio spezzato per noi (…) che rovescia la fine per farne pane. (…)”. “Io sono di Cristo ormai – scrive Sonia Serazzi – e ogni altra idea di Dio mi sembra una bolla vuota che stordisce. Tuttavia non mi turbano affatto coloro che vagano in mongolfiera sopra il mio capo, a patto che non si ostinino a volermi imbarcare!”
È chiaro che una fede così profonda – “E forse per questa fede scervellata il Signore ci solleverà dalla terra e sarà resurrezione. (…) Una resurrezione pudica mi immagino, quasi un camminare tutti in punta di piedi nel castello del Re.” – permea la quotidianità, alimenta domande e inquietudini, per esempio sul rapporto col denaro e la ricchezza, esige di non soccombere ai dolori e ai colpi inattesi della vita e pone interrogativi anche sul proprio lavoro.
“Giacché sono contemplativa trovo sopportabile l’idea di lavorare solo quando si tratta d’opera che duri per sempre. E la carta che tu e io tanto amiamo – fa notare Sonia Serazzi a Antonio Cavallaro – letta, o scritta, non è per l’eternità. (…) Ho passato anni interi ad appuntare anche i più minuti dettagli delle esistenze che incontravo: coltivavo il delirio di poterle preservare dal nulla a forza di parole. Non so bene quando ho smesso, forse quando mi sono resa conto che di vite ce n’erano troppe da imbottigliare contro le onde. Insomma mi sono arresa per stanchezza all’evidenza di non essere Dio. E appena ho ricominciato ad accontentarmi della terra, ogni cosa è diventata per me vivida e lustra, degna di un’attenzione che è quasi preghiera.” Fino ad arrivare ad una consapevolezza: “Restiamo vivi e con un fiore qualunque in mano, Antonio caro. È tutto quello che dobbiamo fare, un giorno dopo l’altro”.
Lettura di grande interesse non solo per i credenti, anzi, forse di più per chi non ha riferimenti religiosi, Chiedo istruzioni alla notte costituisce un tassello importante nella produzione letteraria di Sonia Serazzi, autrice parca nel numero di testi fino ad oggi pubblicati e di caratura molto più rilevante di quella tuttora riconosciuta. C’è stile, misura, una voce autentica, priva di rivendicazioni, compiacimento, inviti più o meno larvati ad altrui “conversioni”, in questo suo raccontare la propria fede, nel restituire con la chiarezza e la semplicità di chi ha affinato pensiero e sensibilità fino a farne trasparenza dell’anima
il proprio mondo interiore: ovvero nel riuscire a dire quello che di solito si tace perché tocca
l’intimo dell’intimo, qualcosa che, spesso, è ignoto a se stessi.
*Sonia Serazzi Antonio Cavallaro, Chiedo istruzioni ogni notte Rubbettino, pp125, euro 10