Da Il Foglio del 2 aprile
Ha fatto più danni Croce al liberalismo in Italia che Marx o Keynes. Introducendo la peregrina distinzione fra liberali e liberisti, ha svuotato il liberalismo delle sue istanze più progressiste di giustizia sociale. Senza la lotta, economica e politica, per una società in cui le possibilità di migliorare la propria condizione sono diritto di ogni individuo, il liberalismo non era che un vezzo di conservatori che, dai loro salotti ben forniti di libri, potevano guardare alla storia senza preoccuparsi dell’ingiustizia delle istituzioni. In parte, questo è colpa di Croce, in parte dei suoi esegeti: per questo è ancor più significativo che un crociano di ferro come Corrado Ocone abbia deciso di allargare la discussione sul liberalismo a quegli autori – Popper, Hayek, Leoni, Oakeshott – che la distinzione crociana aveva lasciato fuori dal mainstream. Autori che erano stati finora vessillo di un gruppo sparuto di coraggiosi studiosi – per la verità molto spesso pubblicati da Rubbettino, a cui va il merito di aver reso disponibile una visione impopolare del liberalismo – tacciati di essere pericolosi estremisti. Liberisti, anzi: perché da Croce in poi questa era una definizione sprezzante, e ha fatto sì che questi autori, come dice lo stesso Ocone parlando di Hayek, fossero più noti che conosciuti, trasformati in bersaglio di comodo di un liberismo inumano, nonostante la loro opera fosse interamente votata a capire come favorire gli svantaggiati. Com’è noto, questi hanno legato indissolubilmente libertà economiche e libertà personali perché chi detiene tutti i mezzi controlla tutti i fini: è impossibile perseguire le proprie finalità, che siano materiali o ideali, morali o estetiche, senza avere il controllo dei mezzi, e questo significa proprietà privata diffusa. Croce invece aveva l’esigenza filosofica di slegare questi due aspetti per evitare una sorta di determinismo, e fondare il liberalismo come concezione di vita, non politica. Ma allora diventa difficile capire cosa sia, questo liberalismo. E infatti Croce non dà definizioni concrete o criteri che permettano di fare distinzioni, ma solo risposte particolari e contingenti, ognuna storicamente situata. Di questo tiene conto il saggio. Quanto sia riuscita l’operazione di Ocone di deomogeneizzare il pensiero di Croce e farlo dialogare con autori più autenticamente liberali, è risposta che va lasciata al lettore: è sicuramente bello leggere un autore con l’onestà intellettuale di cambiare idea, al punto dall’ammettere che il proprio pensatore di riferimento, nella celebre querelle con Einaudi che fece perdere le ali al liberalismo italiano, sedesse dalla parte del torto.
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