Da Formiche.net del 14 marzo
Estratto dal libro del filosofo Corrado Ocone “Il lberalismo del Novecento” (Rubbettino), che sarà presentato il 18 marzo alle 17,30 presso la Fondazione Einaudi a Roma
Grazie alla casa editrice Rubbettino e all’autore, pubblichiamo l’introduzione del libro scritto dal filosofo Corrado Ocone “Il lberalismo del Novecento” (Rubbettino) che sarà presentato il 18 marzo alle 17,30 presso la Fondazione Einaudi a Roma
Traccio brevemente la genesi ideale, diciamo così, di questo volume. O, almeno, dei capitoli che costituiscono la prima parte di esso, tutti originali o inediti. Come spesso capita, l’origine del mio lavoro è polemica: in particolare, vuole contestare, o meglio criticare, alcune tesi storiografiche e teoriche vigenti. La scaturigine immediata però presto si perde e il volume, almeno a me sembra, assume un carattere di autonomia, una fisionomia a sé stante. Si presenta addirittura, forse, come una breve storia del pensiero liberale del Novecento, attraverso l’analisi di quelli che sono per me i cinque maggiori rappresentanti di esso.
Il primo di questi pensatori è Benedetto Croce. Primo per motivi cronologici, ma anche sostanziali, cioè relativi alle sue idee. Per capire quali siano questi motivi di sostanza è però prima opportuno esplicitare i temi della mia polemica intellettuale. Essi fanno riferimento a due tesi, vogliono cioè smontare quelli che per me sono due pregiudizi concernenti il liberalismo crociano: che esso sia “inautentico” e che sia pure sopraggiunto in tarda età, essendo stato il filosofo napoletano precedentemente ispirato da altri e persino opposti valori. Sul primo pregiudizio ho già detto molto nei miei precedenti lavori, e anche in questo volume accenno in varie parti alla questione. Più interessante è però la critica al secondo argomento, che approfondisco molto in queste pagine.
Ammesso infatti, e concesso con molte cautele metodologiche, che possa parlarsi di una “prima fase” del pensiero crociano distinta dalle altre per motivi non solo cronologici, ritengo che in essa Croce, lungi dal non essere liberale o dall’esserlo semplicemente in modo irriflesso (come lui con più o meno modestia amava dire), finì, ne fosse consapevole o meno, per gettare le basi delle due idee fondamentali del liberalismo novecentesco. E, più in generale, io credo, di ogni liberalismo: veri e propri elementi discriminanti di una posizione liberale rispetto a una che tale non è. Si tratta di due coordinate o assi portanti che egli identificò e giustificò filosoficamente e che ritorneranno negli altri quattro protagonisti della mia breve storia, pur nelle indubbie e varie differenze fra loro: Michael Oakeshott, Friedrich August von Hayek, Karl Raimund Popper, Isaiah Berlin. Quali siano queste idee fondamentali è presto detto: 1) la critica al razionalismo astratto, allo scientismo, al positivismo; 2) la messa in scacco di ogni pretesa di “filosofia della storia”, di “storicismo” olistico, di costruttivismo ingegneristico.
La seconda parte del volume è interamente dedicata a Benedetto Croce: in particolare alla sua idea di liberalismo, di cui, dopo averne ripercorso il profilo, se ne mettono in luce i rapporti sia con il cristianesimo sia con quel filone di pensiero che viene solitamente definito “realismo politico”. Nella terza sessione trovano invece spazio sia un saggio su Bruno Leoni interprete di Croce ed Einaudi sia una riflessione sul socialismo, cioè su quello che è stato storicamente considerato come la concezione politica opposta al liberalismo.
In particolare, del socialismo provo a circoscrivere e radicalizzare l’elemento morale, inteso nel senso specifico della parola, mettendo in evidenza come in un’ottica liberale l’unico socialismo che può ammettersi è quello che si costruisce dal basso e si esplica nei rapporti interpersonali al di fuori di ogni velleità politica. Il socialismo così inteso non è altro che la morale dei rapporti interindividuali.
Ho pensato di mettere infine in appendice un breve saggio su Robin George Collingwood, il grande filosofo di Oxford amico di Croce e, soprattutto, di Guido De Ruggiero, di cui tradusse in inglese per Cambridge University Press la Storia del liberalismo europeo. Collingwood, ed è questo il motivo che giustifica l’inserimento, elaborò una critica del totalitarismo basata su elementi morali e non razionali come quelli esaminati nei grandi pensatori protagonisti della prima sezione di questo libro. Collingwood insiste sull’infiacchimento morale, ovvero sulla crisi spirituale, dell’Occidente, che ha perso la forza propulsiva delle sue radici soprattutto cristiane. È un motivo non in contrasto con quello da me affrontato e che si ritrova anche negli autori qui considerati. Probabilmente andrà affrontato con più cognizione di causa in un prossimo lavoro.
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