Da quando, con la rivoluzione politica e i grandi filosofi, il Regno Unito ha posto la modernità sul plinto della “libertà dei liberali”, le società pur sviluppate su basi così solide hanno dovuto nondimeno conoscere l’antagonismo tra il gigante produttivo e i redistributori distruttivi, tra il creatore di ricchezza e i dissipatori benintenzionati. Dell’uno e degli altri tratta “Socialismo”, il capolavoro di Ludwig von Mises, che Lorenzo Infantino ha appena tradotto e curato per l’editore Rubbettino, premettendovi l’illuminante introduzione “Mises e il totalitarismo”. Il libro (da un saggio del 1919 perfezionato nel 1920) fu pubblicato nel 1922. Come recita anche il sottotitolo, Mises vi compie una “analisi economica e sociologica” del socialismo, rivelandone la falsità mediante una poderosa, incalzante, affascinante dimostrazione, svolta con logica socratica. Lo scrisse nella sua autobiografia: “Una teoria del socialismo che non abbia il suo centro nel problema del calcolo economico sarebbe semplicemente assurda.” Assurda perché? Perché senza il sistema dei prezzi generato dal mercato l’economia non può funzionare.
Il collettivismo o socialismo scientifico, cioè la pseudo economia socialista, non è fallito perché applicato male, come sentiamo ripetere pure oggi da colti e rozzi estimatori purtroppo ancora incredibilmente esibiti dai media come illuminati campioni del progressismo. Al contrario, il socialismo collettivistico è finito nella pattumiera della storia nonostante gli sforzi sovrumani e i crimini immani per metterlo in pratica con un esperimento sociale chiliastico. Non poteva non fallire perché irrealistico e irrealizzabile. Era, ed è, intrinsecamente utopistico, come il paradiso in terra o l’asino che vola. La monumentale grandezza di Mises, un pensatore che guarda Karl Marx dall’alto in basso, sta anche nel fatto che egli preconizza l’assurdità del socialismo mentre la rivoluzione comunista è agli albori e il bolscevismo affascina le masse e gl’intellettuali, conquistando proseliti d’ogni ceto in un mondo d’impazienti, con l’ansia di veder sorgere al più presto il sole dell’avvenire.
Poiché Mises ha stravinto alla prova del pensiero e della storia, un lettore potrebbe porsi la stessa domanda che il professor Infantino, tra i massimi cultori del liberalismo, pone retoricamente nell’introduzione: “Vale la pena leggere, o rileggere, un’opera apparsa per la prima volta quasi cent’anni fa?” La mia risposta è che non solo vale la pena, ma costituisce un piacere e un dovere per almeno due motivi: il primo, comprendere davvero l’essenza della società libera; il secondo, smascherare effettivamente i suoi proteiformi nemici. La società libera è basata su essenziali elementi intrinseci, quali la proprietà privata, il contratto, la responsabilità personale, garantiti da un coerente contesto di norme giuridiche e consuetudini morali, che necessariamente implicano la limitazione e la divisione dei poteri pubblici, per effetto delle quali riescono ad esplicarsi al meglio l’economia di concorrenza e la cooperazione volontaria, cioè il mercato e la libertà individuale. Mises, ribadendo e rafforzando il concetto espresso già da Adam Smith, scrive: “La politica del liberalismo è il comportamento del padre di famiglia prudente che risparmia e costruisce così per se stesso e per i suoi successori. La politica del distruttivismo è quella del dissipatore, che sperpera ciò che ha ereditato, incurante del futuro”. A ragion veduta ho definito “proteiformi” i nemici della libertà. Infatti, mentre i connotati della società libera, anche grazie a Mises, sono definiti e imprescindibili, sicché il loro sovvertimento risulta evidente a primo acchito, le loro adulterazioni che di tempo in tempo sono state messe in atto, e che possono essere sempre prospettate, sono subdole e mutano in continuazione assumendo aspetti diversi, come il mitico Proteo.
“La perdurante validità degli argomenti di Mises, scrive Lorenzo Infantino, è legata a quel che egli ha conseguito attraverso il paradigma evoluzionistico, che più caratterizza la Scuola austriaca di economia. Il processo di mercato rispecchia esattamente lo schema dell’evoluzionismo culturale, perché la concorrenza premia i paradigmi produttivi che meglio soddisfano le richieste dei consumatori, elimina cioè quelli che si mostrano più costosi o inadeguati; e spinge gli attori a pagare con ciò che sanno fare meglio ciò che sanno fare peggio”. Con la vita e le opere, Mises “ha spalancato dinanzi a noi un itinerario ben diverso: quello della libertà individuale di scelta, dell’esplorazione dell’ignoto e della correzione dei nostri inevitabili errori”. Friedrich von Hayek, premio Nobel per l’economia (che da giovane subì “l’impatto profondo” del libro!), nella presentazione scritta nel 1978 e riportata nel volume, mette bene in chiaro che Mises si considerava un “liberale classico” e ricorda che Joseph Schumpeter è stato costretto ad affermare che negli Stati Uniti i nemici della libertà, “come complimento supremo ma inintenzionale, hanno pensato bene di appropriarsi di questo termine” (“liberals” tuttavia, non liberali con la “i”). Aggiunge che, alla prima lettura, la Parte quinta dedicata al “distruttivismo” gli apparve di tono troppo pessimistico. Poi, rileggendola, si sentì colpito “più dalla sua preveggenza che dal suo pessimismo”. In effetti “molti lettori di oggi si renderanno conto che gli insegnamenti di “Socialismo” possono essere applicati più agli eventi a noi contemporanei che a quelli di quando il libro è stato pubblicato”.
Non si aspetti il lettore di trovare nelle 620 pagine (tante sono) le formule e le equazioni, i diagrammi e i calcoli: l’abuso pseudoscientifico che commettono troppo spesso i pretensiosi assimilatori dell’economia alla fisica. Il libro non ne contiene e non ne ha bisogno, perché consta dell’impressionate e sorprendente esposizione ragionata di tutti gli aspetti del socialismo in ogni sua variante: dottrina, storia, realizzazioni, conseguenze. Semplicemente scorrendone i capitoli (i renitenti all’acquisto e gli ostili per pregiudizio se ne gioverebbero già così!), pure il lettore meno provveduto si accorge di avere tra le mani un capolavoro anche letterario oltre che una critica devastante delle teorie e dei regimi che nel Novecento hanno sferrato il più poderoso attacco alla libertà, uscendone disastrosamente sconfitti. Ma i demoni proteiformi sono sempre in agguato. Non smettono di tramare. Mises è indispensabile per riconoscerli in tempo e poterli scacciare.
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