“Il gesuita comunista”, protagonista del libro di Matteo Manfredini (editore Rubettino), è Alighiero Tondi, nato a Roma nel 1908, morto a Reggio Emilia nel 1984.
Il termine “Gesuita comunista” non deve fare pensare al personaggio, inquietante e, a suo modo, fascinoso della “Montagna magica” di Thomas Mann, Leo Naphta, ebreo convertitosi al cattolicesimo gesuita che impersona il radicalismo antimoderno e la sua deriva nichilista. E neppure a religiosi come il nicaraguense Ernesto Cardenal per il quale comunismo e Regno di Dio sulla terra sono la stessa cosa, alla Teologia della Liberazione che negli anni Sessanta si diffuse in America Latina attraverso la formazione di comunità ecclesiastiche di base dirette per la maggior parte proprio da gesuiti. Tondi non partecipò neanche ai movimenti e circoli della sinistra di ispirazione cristiana che furono numerosi nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, alcuni dei quali tentarono di conciliare il comunismo con la fede religiosa ma senza scontrarsi con la gerarchia ecclesiastica.
“La sua idea di religiosità – precisa Manfredini – non era molto chiara. Subito dopo la fuoriuscita si definiva ardentemente marxista e ateo, ma già dopo alcuni mesi diceva di essere (in fondo) ancora credente o per lo meno convinto della veridicità del messaggio originario del Vangelo”.
Fatto sta che fino a quando restò nella Chiesa Tondi fu, ufficialmente, un sacerdote ligio al magistero di Pio XII, passato al Pci non partecipò all’elaborazione teorica di cattolici comunisti come Franco Rodano, e sulla sua disillusione nei confronti del marxismo non pare abbia influito l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956, che mise in crisi intellettuali ed esponenti politici comunisti, alcuni dei quali, come Antonio Giolitti, lasciarono il Pci. L’anno seguente l’invasione l’ex gesuita, felice e orgoglioso, si trasferì con la moglie nella Germania orientale per insegnare all’Università Humboldt di Berlino Est. E tornato sacerdote si chiuse nel silenzio.
Anche un evento epocale come il Concilio Vaticano II, indetto il 25 dicembre 1961 e inaugurato l’11 ottobre 1962 da Giovanni XXIII e chiuso nel 1965 da Paolo VI, non sembra essere stato al centro dell’attenzione di Tondi, che in quegli anni era tornato al cattolicesimo pur continuando a votare per il Pci.
La sua figura è interessante non per l’elaborazione culturale e politica ma per il ruolo giocato negli anni Cinquanta al servizio della Chiesa prima e poi del Pci. Vicende che in quegli anni hanno suscitato clamore e oggi, a leggerne la ricostruzione nel libro di Manfredini, ci aiutano a capire una temperie storica e culturale molto lontana dalla nostra.
Nato in una famiglia laica, colta, di tradizione mazziniana e socialista, Tondi si era convertito da giovane al cattolicesimo e, dopo essersi laureato in architettura, nel 1936, a 28 anni, entrò nella Compagnia di Gesù. Nel 1944 fu ordinato sacerdote. Colto e brillante, ebbe incarichi all’Università Gregoriana e un compito di collegamento con il mondo della politica.
Il 20 aprile 1952 lasciò, all’improvviso e in gran segreto, la sede dell’Università Gregoriana. Il 25 aprile uscì sul quotidiano di area comunista “Paese” un’intervista in cui annunciava la sua adesione al comunismo e dichiarava di avere compreso quanto il cattolicesimo si basasse su documenti falsi e inattendibili e come la Chiesa semplicemente rispondesse al bisogno degli uomini di spiegarsi eventi incomprensibili. Il comunismo era l’unica verità scientifica. “Finalmente – affermava posso dire che sono felice, tranquillo, perché mi trovo nella splendida, purissima luce del vero” (pag. 27). Al giornalista rivelava di avere assistito a manovre politiche tra destra cattolica e organizzazioni neofasciste.
L’intervista fu una bomba. Seguita da altre dichiarazioni ai giornali e conferenze pubbliche, diede inizio al periodo di massimo fulgore di Alighiero Tondi.
Nel 1954 l’ex sacerdote sposò una militante comunista molto stimata nel partito, Carmen Zanti, che ebbe un incarico nella Germania Est. Nel 1957 i due coniugi si trasferirono in Germania e dall’agosto 1957 Tondi insegnò all’Università Humboldt di Berlino Est. Negli anni passati nella Ddr maturò la sua disillusione, probabilmente a causa della conoscenza diretta del “socialismo reale”, dei lunghi momenti di solitudine dovuti alle assenze della moglie, molto impegnata nel suo lavoro, e forse anche per il fatto di non sentirsi abbastanza apprezzato nella “chiesa” di cui era entrato a fare parte. Nel settembre 1960 sappiamo che si trovava in una fase depressiva. Nel 1962 i coniugi lasciarono la Germania socialista e rientrarono a Roma. Nel 1963 Carmen venne eletta alla Camera (fu rieletta nel 1968 e al Senato nel 1972).
Tornato in Italia, Tondi tenne delle conferenze, nell’ambito del Pci o della Fgci, in cui criticava le dittature dell’Europa orientale e il tradimento degli ideali originari del comunismo. La demitizzazione del socialismo reale fu uno shock per molti militanti. Tondi venne relegato in un ufficio del partito a Reggio Emilia con l’incarico di correttore di bozze. A partire dal 1964-65 rimase tagliato fuori dal Pci e iniziò a riavvicinarsi alla Chiesa, anche se rimase iscritto al partito fino al 1979 e continuò a votarlo. La Chiesa lo accolse come fedele e riconobbe il suo matrimonio. Nel 1979 Carmen morì. Nel dicembre Tondi 1980 fu riammesso al ministero sacerdotale, che esercitò a Reggio Emilia in modo discreto, dimenticato dalla stampa e dall’opinione pubblica, fino alla morte, avvenuta nel 1984.
Per capire l’importanza della vicenda di Alighiero Tondi bisogna tornare all’intervista a Paese del 1952, in cui l’ex sacerdote parlava dei collegamenti tra destra cattolica e organizzazioni neofasciste. Le sue dichiarazioni erano confuse e contradditorie. Ma in sostanza rispecchiavano la verità dei fatti. Tondi nei suoi rapporti con il mondo della destra aveva assistito al tentativo della Santa Sede di bloccare il percorso verso sinistra della Dc e di creare, in occasione delle elezioni amministrative romane, una lista anticomunista formata da cattolici di destra con l’appoggio dei monarchici e del Movimento sociale italiano. Non fu solo spettatore. Nel corso delle trattative, ebbe rapporti intensi con Luigi Gedda, presidente dei Comitati civici, e uno dei principali artefici del trionfo della Dc alle elezioni del 18 aprile 1948. Di questi tentativi e di questi rapporti il gesuita, ormai passato idealmente ma ancora in segreto dall’altra parte, teneva informati i dirigenti del Pci. Informazioni ritenute preziose: il tentativo di spostare a destra la Dc e di formare per le amministrative romane del maggio 1952 una lista anticomunista formata da cattolici, monarchici, missini e resti del movimento dell’Uomo Qualunque e capeggiata da don Luigi Sturzo, la cosiddetta “operazione Sturzo”, non poteva ovviamente restare segreta. Del resto né il Vaticano né Gedda e neppure le forze politiche di destra intendevano restaurare il fascismo. Nello stesso Msi, costituito da reduci della Rsi, il leader, Arturo Michelini, stava cercavando, con alterna fortuna, di trasformare il movimento neofascista in partito conservatore. Una strategia iniziata nel 1950 e conclusasi nel 1977 con la scissione dall’Msi di Democrazia Nazionale, guidata da Ernesto De Marzio, Raffaele Delfino e Pietro Cerullo. Ma i particolari sui preparativi dell’operazione, soprattutto su chi, all’interno del mondo cattolico, aderiva e chi era contrario, e sui rapporti di forza tra le varie componenti di questo mondo interessavano a Togliatti e allo stato maggiore del Pci, come interessavano al Pci e all’Unione sovietica le informazioni sulle attività antisovietiche della Compagnia e del Russicum, il collegio ecclesiastico russo di Roma che da anni elaborava una efficace propaganda antisovietica.
L’Operazione Sturzo fallì per l’opposizione della Dc, di una parte importante della Santa Sede guidata dal sostituto alla Segretaria di Stato Montini, futuro Paolo VI, e dal rifiuto dello stesso sacerdote di Caltagirone di farsi strumentalizzare. La costituzione di questa lista del resto avrebbe sconvolto i difficili equilibri su cui si reggeva il governo nazionale guidato da De Gasperi, alleato con socialdemocratici, liberali e repubblicani che non avrebbero accettato un blocco unitario con le destre. Il 25 maggio 1952 la temuta conquista del Campidoglio da parte del Pci non avvenne e Dc, Psdi, Pli e Pri conquistarono il Comune di Roma senza bisogno del contributo di missini e monarchici. Il rifiuto di De Gasperi di aderire all’Operazione Sturzo rese inviso il presidente del Consiglio italiano a Pio XII. Nel giugno del 1952 De Gasperi richiese un’udienza al Papa per sé e la propria famiglia. Era il trentesimo anniversario del suo matrimonio e sua figlia Lucia aveva appena preso i voti come suora. Il Papa rifiutò, amareggiando l’uomo di Stato trentino. Ma ormai la via era segnata, la componente conservatrice della gerarchia vaticana rinunciò all’idea di formare un secondo partito cattolico e negli anni seguenti cambiarono la Chiesa, la Dc, il Pci, tutto divenne più fluido e complesso.
Intanto, nel 1952, l’intervista di Tondi a Paese, seguita pochi mesi dopo da un’altra, clamorosa intervista a Epoca, che rese famosa la giornalista Gianni Pedrassi (Gianna Preda), in cui Tondi dichiarava di avere fatto da trait d’union tra le forze cattoliche conservatrici e le forze politiche di destra e di essere venuto in possesso di materiale politico scottante, avevano fatto dell’ex gesuita un personaggio famoso. Ormai inutilizzabile come spia nel Vaticano, Tondi venne impiegato dal partito per la propaganda anti Dc e anticlericale. Furono anni di conferenze e comizi in cui l’ex sacerdote ebbe un notevole successo, riempiendo le piazze e i teatri. Un successo che dovette appagare questo “uomo mosso da uno spirito inquieto, spesso ingenuo, istintivo, incapace di prevedere le conseguenze delle sue scelte (…) segnato da un carattere originale, che non conosceva mezze misure e compromessi” (pag 192). Ma la propaganda anticlericale non era al centro della strategia del Pci, che poteva servirsene per accontentare le sue frange radicali ma perseguiva un’intesa con il mondo cattolico. Tondi era utile per un certo aspetto, ingombrante per un altro. Inoltre la sua ingenua ambizione di essere accolto tra i dirigenti del Pci era destinata a procuragli molte amarezze. Nel partito comunista di allora non bastava essere brillante, come nella Compagnia di Gesù bisognava sottoporsi a un lungo apprendistato e si avanzava nella scala gerarchica dando prova di affidabilità e capacità nel corso degli anni. Anche questo dovette contribuire alla disillusione di Alighiero Tondi che, dopo tanto clamore, terminò la sua vicenda terrena in una modesta parrocchia emiliana.
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