Il futuro? Basta Zes, la Calabria deve puntare sulle Free Zone (Il Quotidiano del Sud)

del 8 Febbraio 2016

Stefano Cianciotta, Pietro Paganini

Allenarsi per il futuro

Idee e strumenti per il lavoro che verrà

Da Il Quotidiano del Sud dell’8 febbraio

«La Calabria deve puntare sulle Free Zone per poter attrarre investimenti esteri e avviare una nuova fase di sviluppo». L’economista Pietro Paganini, docente alla John Cabot University di Roma siamo abituati a vederlo ogni settimana ad Agorà su Rai Tre dove si discute di economia. Ha scritto un libro con Stefano Cianciotta per l’editore calabrese Rubbettino “Allernarsi al futuro” rivolto alle nuove generazioni.
Professore, parte un nuovo ciclo di programmazione comunitaria di 2.3 miliardi. Secondo lei su cosa la Regione dovrebbe puntare?
«Le Free Zone, senza dubbio. Non ci sono scuse. Le ZES e le ZFU sono fallite perché propongono un incentivo fiscale ma non eliminano la burocrazia. Sono i burocrati a frenare lo sviluppo e la libera iniziativa a favore del loro potere di cabotaggio. I giovani del sud chiedano fondi da iniettare in un ambiente di mercato libero, senza troppe regole».
Perché dovrebbero funzionare?
«Le ricerche dimostrano che l’alta tassazione non e’ la prima ragione per cui non si fa impresa in Italia o gli investitori non arrivano. L’eccesso di burocrazia asfissiante e un sistema della giustizia macchinoso e poco trasparente sono la vera causa. Gli imprenditori sono disposti a pagare tasse alte se sono accompagnate da una burocrazia leggera ed efficiente».
Più facile a dirsi che a farsi
«Una legge per azzerare la burocrazia c’e’ gia’- e’ stata applicata sull’area di Expo – così come per snellire la giustizia basterebbe introdurre il sistema degli arbitrati tra imprese. Con due semplici strumenti, peraltro gia’ disponibili, la politica avrebbe l’occasione di rendere l’ecosistema Sud attrattivo. Si spiega cosi che citta’ come Dubai, Honk Kong, Shenzen e Singapore, che da un punto di vista geografico nulla hanno del nostro Sud, riescono ad attirare investitori da ogni parte del mondo. Se a questo si aggiungesse anche una riduzione della pressione fiscale, il Sud diventerebbe una zona in grado di attrarre imprese, creare occupazione e quindi capace di generare un indotto economico positivo. L’equazione è semplice. Perché non si fa? Chiedetelo ai politici. Non ci sono scuse».
Cosa manca al Sud?
«C’è tutto. Ci sono i giovani, le idee e la voglia di fare. Si deve eliminare la burocrazia e sperare in una classe dirigente diversa da quella attuale».
Che lavoro faranno i nostri figli tra 25/30 anni?
«L’impatto tecnologico e le trasformazioni sociali e culturali sono talmente profonde che i lavori cambieranno. Certe mansioni continueranno ad esistere ma i processi e gli strumenti saranno talmente diversi che ci troveremo ad affrontare nuove professioni. Molto sarà fatto dalle macchine, i robot, che ci sostituiranno sempre di più. Il bancomat e l’home banking hanno quasi eliminato il lavoro del bancario, così come l’elettricista oggi ha competenze profondamente diverse da qualche anno fa. Lo stesso muratore deve avere conoscenze e capacità nuove rispetto al passato, proprio perché le costruzioni di nuova generazione richiedono tecniche nuove. L’uomo non perderà la sua natura, il nostro “tocco magico” sarà fondamentale ma le competenze che serviranno renderanno i lavori sempre nuovi. Un adolescente che entra nel mondo del lavoro cambierà tra 5/7 lavori, non posti di lavoro, ma professionalità. Significa adattarsi al cambiamento e imparare continuamente. Nel libro sosteniamo che il sapere è importante, ma ancora di più sono caratteristiche individuali quali la curiosità, la creatività e l’intraprendenza».
Lei condivide le tesi di chi sostiene che oggi i giovani pagano il prezzo degli errori dei padri?
«No, anzi. I padri ci hanno consegnato un paese moderno, sviluppato anche se non sembra se comparato con estero o con le stesse potenzialità. Hanno commesso dei gravi errori, per esempio hanno costruito uno stato sociale fondato sulle pensioni e soprattutto, hanno capito poco il cambiamento in corso. Oggi continuano a non comprendere il cambiamento e soprattutto tendono a bloccarlo. Dovrebbero invece dare spazio ai giovani, e aiutarli a costruire il mondo che verrà».
E’ partita la riforma della scuola, cosa si aspetta?
“Poco. E’ una riforma timida, che tocca alcuni punti chiave ma qui ci voleva un ripensamento generale della scuola, proprio in funzione dei cambiamenti radicali del mondo del lavoro. La riforma è fatta per gli insegnanti e l’organizzazione, non riguarda gli studenti o i bambini. Sono loro a dover essere al centro. Nel nostro libro più che riformare la struttura, che è importante, sosteniamo che va ripensata la pedagogia e la didattica. Il sapere oggi è condiviso, non c’è bisogno di andare a scuola per acquisirlo. Si dovrebbe invece andare a scuola per imparare a risolvere i problemi. Oggi serve un nuovo insegnante, un motivatore, una guida, che aiuti gli studenti a rimanere curiosi, creativi ed intraprendenti».
E’ iniziato, da alcuni anni, un grande esodo dal Sud di giovani, sempre di più i laureati, che lasciano la propria terra e affetti per poter lavorare. Fallito ogni tentativo di sviluppo del Sud?
«E’ un genocidio culturale che va fermato, subito. Il Sud non offre le condizioni per restare, e non solo per la drammatica presenza della criminalità. C’è un problema culturale di cui la politica ne è la prima responsabile. E’ da anni che leggo manifesti e interviste di presunti statisti meridionali che hanno combinato nulla, anzi hanno solo sperperato risorse e speranza. La lista è lunga. Non c’è una ricetta e non ho io la formula. Credo che i giovani del Sud che hanno scoperto il mondo, che si sono esposti alle contaminazioni globali, debbano rinunciare ad ascoltare questi politici e chiedere loro più libertà di fare impresa e la garanzia di poter contare su un sistema di infrastrutture all’altezza di altri paesi.»

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