Per apprezzare il valore di testimonianza civile che Antonio Pileggi ci offre in questo saggio breve, eppure ricco di riflessioni, sul tema della libertà, basta scorrere la cronaca di questi giorni su quanto avviene nelle strade di Kabul, in quel martoriato Paese chiamato Afghanistan
Abbiamo tutti negli occhi l’orrore che richiama la vista dei bambini letteralmente lanciati dai genitori nelle braccia dei soldati occidentali, oppure delle persone aggrappate ai portelloni degli aerei in decollo in un disperato tentativo per farli sfuggire a un cupo destino di violenza e di morte che si prospetta nel loro Paese dopo la costituzione dell’Emirato islamico ad opera dei Talebani.
Tutto ciò ci fa capire meglio di tante parole la riflessione che Pileggi ci impone con il suo scritto sull’esercizio di tre diverse libertà: libertà politica, libertà di insegnamento, libertà religiosa. Tre diverse declinazioni del termine “libertà”, che però confluiscono tutte in un unico grande contenitore, che è Democrazia.
Si discute molto in questo periodo se la scelta dei Paesi europei, e, in primis, degli Stati Uniti, di imporre anche con le armi la democrazia in Paesi che non l’avevano mai conosciuta, sia stata foriera di illusioni e di inganni per quei popoli, abbandonati infine a un infausto destino. Certo, la democrazia per affermarsi come pratica politica ha bisogno di una lunga gestazione, per approssimazioni successive, in tema di libertà e di difesa dei diritti, che non sempre avviene in un clima pacifico: basti pensare al contesto rivoluzionario che ha accompagnato la nascita della democrazia “per eccellenza”, quella del Regno Unito, o di quella francese, nate sul sangue della testa dei rispettivi sovrani. Ma non basta una rivoluzione a far nascere una democrazia, e ne abbiamo un esempio nella rivoluzione russa del 1917, che ha trascinato quell’immenso Paese dal dispotismo degli Zar all’aberrazione del comunismo sovietico. E qui ci soccorre Pileggi che ci dimostra il nesso indissolubile tra libertà e democrazia, e in particolare, con le tre libertà esaminate nel suo saggio. Più da vicino:
“Libertà di insegnamento”, che racchiude tanti diversi significati, come libertà della cultura, rispetto delle opinioni altrui, diritto allo studio, libertà dal bisogno, solo per citarne alcuni. Il nostro Paese, che è passato attraverso l’esperienza del fascismo, ha assimilato questi concetti nella Costituzione repubblicana, facendone i cardini della nostra convivenza civile.
Eppure, quante dolorose vicende abbiamo dovuto affrontare in questi 70 anni, che hanno messo a dura prova l’esercizio di quelle libertà? Dalle stragi terroristiche all’eversione delle brigate rosse, dalle trame piduiste alla morte di Aldo Moro, guardandoci indietro ci rendiamo conto che non è stato facile mantenere l’esercizio di quelle libertà in un contesto di violenza e di sopraffazione che ha insanguinato per anni il nostro Paese.
E qui arriviamo all’altro grande presupposto della democrazia, che Pileggi ci indica: “La libertà dell’impegno politico”, vale a dire, quella di essere cittadini, e non sudditi, avvalendoci tutti della possibilità di concorrere liberamente “all’organizzazione politica, sociale ed economica del Paese”. Quanta differenza in queste affermazioni, anche rispetto all’Italia uscita dal Risorgimento, che vedeva l’impegno politico come prerogativa di “classe”, confinando la grande maggioranza del Paese, a cominciare dall’universo femminile, ai margini del governo dello Stato. E sembra paradossale, ma non lo è, che a combattere in prima linea questa battaglia di emancipazione culturale e politica sia stato un uomo di chiesa, animato da una profonda convinzione religiosa, ma anche da un innato amore per la libertà: “Ai liberi e forti” iniziava l’appello che Don Sturzo rivolgeva al popolo italiano nell’atto di fondazione del Partito popolare, senza che la sua condizione di ecclesiastico facesse velo al suo amore per la libertà.
Il terzo pilastro che Pileggi affronta nella sua disanima sulla democrazia è proprio la libertà religiosa “cavourrianamente” intesa nella formula di “libera Chiesa in libero Stato” .
Quando vediamo i guasti prodotti dalla confusione tra potere politico e potere religioso di cui si sono fatti interpreti oggi i movimenti islamisti, ma, in passato anche tante parti del pensiero religioso occidentale, non possiamo non sentirci onorati che quella formula , così essenziale nella sua semplicità, ma così potente nel definire limiti e prerogative delle confessioni religiose in uno Stato liberale, sia nata dalla mente illuminata di un Italiano, Camillo Cavour, e fatta propria da ferventi spiriti religiosi che per i loro convincimenti liberali, da Don Sturzo ad Alcide De Gasperi,
non hanno esitato a subire anche l’esilio e la condanna ecclesiastica.