Da Ilcorriere.it
A proposito di Friedrich Moellhausen vorrei avere ulteriori informazioni sul diplomatico tedesco e conoscere il titolo del libro che signora Donatella Bolech Cecchi ha scritto su di lui.
Caro Raggi,
Il libro pubblicato dall’editore Rubbettino, con una presentazione di Luigi Vittorio Ferraris, è Eitel Friedrich Moellhausen, un diplomatico tedesco amico degli italiani (1939-1945) . Il protagonista era nato a Smirne, in un ambiente levantino, da padre tedesco e madre francese; aveva studiato e trascorso gli anni giovanili a Berlino, Trieste e Marsiglia; parlava con la stessa naturalezza tedesco, francese e italiano. Non si iscrisse mai al partito nazista, ma nel 1939, alla vigilia della guerra, grazie ai suoi meriti linguistici, divenne funzionario del ministero degli Esteri. Di lì a poco era a Parigi e lavorava con Otto Abetz, l’Ambasciatore del Reich che recitava allora in Francia il ruolo del «poliziotto buono» e cercava di creare una cerchia di simpatie negli ambienti culturali francesi. Ma nei mesi seguenti fu incaricato di missioni in Siria, nelle colonie francesi dell’Africa, a Vichy (capitale della Francia di Pétain) e a Tunisi. Il problema, per la Germania, era soprattutto quello di evitare che il generale De Gaulle e i suoi seguaci riuscissero a mettere piede in quella Francia d’oltremare in cui il governo francese, grazie alle clausole dell’armistizio, aveva conservato una certa autorità.
La fase più interessante della sua vita, tuttavia, cominciò più tardi, negli ultimi mesi del conflitto. Trasferito sul lago di Garda divenne uno degli interlocutori preferiti di Mussolini e assistette all’agonia della Repubblica sociale. Ma andava spesso a Berlino dove Ribbentrop, ministro degli Esteri del Reich, voleva discutere con lui la possibilità di un negoziato segreto con gli americani. Era il sogno tedesco degli ultimi mesi: convincere gli Stati Uniti che la vera minaccia, a cui occorreva contrapporre l’unità dell’Occidente, era l’Unione Sovietica. Moellausen tentò di stabilire un contatto a Madrid e successivamente a Lisbona; ma gli americani stavano vincendo e non avevano alcun interesse a riabilitare la Germania di Hitler in «articulo mortis».
La fine, per Moellhausen, fu relativamente indolore: qualche mese in un campo di concentramento alleato e la libertà. Le sue ultime pubbliche apparizioni furono nelle aule dei tribunali dove fu chiamato a testimoniare per alcuni generali (fra cui Kesselring, di cui ho parlato nella risposta precedente) che venivano processati per crimini di guerra. Ma la avventurosa vita diplomatica era ormai un capitolo chiuso. Volle vivere a Milano con la moglie italiana e dedicare la sua vita a una attività industriale. Era poliglotta, ma decise che ai suoi figli italiani non avrebbe insegnato il tedesco. Morì nel 1988.
di Federico Raggi
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