Da Il Sole 24 Ore del 27 luglio
Diverse persone, anche autorevoli, dichiarano il proposito di votare contro una riforma istituzionale che pure apprezzano, a causa di una legge elettorale da cui dissentono: qual è la ragione di un comportamento che finisce per condannare ciò che piace senza eliminare ciò che non piace? È perché ben sanno che con il no al referendum si andrebbe incontro a una destabilizzazione di cui non si vede l’esito, ma non vogliono essere confusi con quelli che votano no solo per buttar giù Renzi? O è perché temono una svolta autoritaria, ma vogliono distinguersi da quanti vorrebbero affossare tutto, riforma e legge?
I due temi, istituzionale della forma di governo ed elettorale del meccanismo che traduce i voti in seggi, sono intrecciati tra loro fin dalla Costituente del ’46. Lo sono anche nella riforma di Renzi, che si pone un obbiettivo complessivo: superare i governi di coalizione, conferire maggiore potere al governo sostenuto dalla sua maggioranza, consentire agli elettori di determinare in modo “immediato” la formazione di una maggioranza parlamentare. Cioè predisporre gli assetti istituzionali (Senato, regioni, domani regolamenti parlamentari) che consentano alla legge elettorale di dispiegare i suoi effetti. Ovvio che a chi invece fa coincidere la democrazia con la mera rappresentanza fotografica della proporzionale, ogni forma di democrazia di investitura con leadership governativa, modello anglosassone, appaia una svolta autoritaria. Era il 1944 quando Einaudi spiegava che la Camera dei Comuni, «non fa né disfà i Ministeri, […] vota quasi sempre e soltanto i disegni di legge che le sono messi innanzi dal Governo.”.] Si è ingigantita la figura del primo ministro e le elezioni si fanno nel suo nome e in quella del capo della o delle opposizioni». Passano settant’anni, e quella stessa prospettiva detta a Gustavo Zagrebelsky parole di esagitato allarme: «le forze politiche si candidano a governare? No! in un sistema parlamentare la candidatura è a rappresentare in Parlamento! Hanno un capo? No! In democrazia non ci sono capi! Il Capo del Governo c’era durante il fascismo!»
Svolta autoritaria: ma che cosa la fa temere? L’eliminazione del contrappeso del Senato? Ma già Mortati notava che il bicameralismo era stato scelto in funzione ritardatrice. I maggiori poteri del Governo? Ma già De Gasperi della “legge truffa” ricordava che Weimar e l’Italia dello Statuto erano crollati per impotenza, non per eccessivo potere dei governi. Chi dice che voterà no, sa quanto l’instabilità degli esecutivi, il basso rendimento decisionale abbiano contribuito all’instabilità economica, all’aumento del debito pubblico, alla corruzione che segnarono la fine della Prima Repubblica. Il maggioritario uninominale ci diede la democrazia dell’alternanza e la Seconda Repubblica; ma quella legge elettorale, non “doppiata” da istituzioni che la accolgano, non poté impedire che dal 1994 al 2005 nessuna legislatura (tranne una) si chiudesse con lo stesso governo con cui era iniziata. Ed oggi l’esecutivo è costretto a un esasperato ricorso ai decreti legge ed ai voti di fiducia.
Il pericolo autoritario starebbe allora nella maggioranza di seggi attribuiti al 40% dei voti? Sembra realistico pensare che possa esserci un 20% di elettori che votano per formazioni minori: ad esse viene garantito il diritto di tribuna. Il restante 80% si dividerà nella contesa per il governo del Paese. Il pericolo autoritario starebbe nel ballottaggio, in cui due partiti che insieme hanno avuto intorno al 60% dei voti si contano una seconda volta? Né va dimenticato che l’opposizione avrebbe comunque il 45% dei seggi. Fatto salvo il maggioritario di collegio, non ci sono molte altre soluzioni che corrispondano ai dati di progetto: superare le coalizioni, e concorrere a determinare in modo immediato la formazione di una maggioranza parlamentare.
Se tutto ciò non convince ancora, allora il perché del senso di pericolo va cercato altrove. Potrebbe essere che «non sia stata interiorizzata la trasformazione dei sistemi politici nelle democrazie avanzate, con riguardo alla presidezializzazione dei sistemi di governo, il nuovo orizzonte della separazione di poteri, che non passa più per la contrapposizione tra organi (parlamento e governo), ma per quella tra maggioranza (governo e maggioranza parlamentare) e opposizione. E anche il richiamo a temi del check and balance è spesso il riflesso di una cultura consociativa che interpreta i limiti al governo non come meccanismi ché garantiscano la competizione, ma come strumenti di blocco e paralisi che alludono a una nostalgia della codecisione». (G.Guzzetta, Italia, si cambia, Rubbettino)
In tal caso però converrebbe dire, a se stessi e agli altri, che non si vuole la riforma Renzi tout court. Sapendo che tal caso dopo il referendum, qualunque ne sia l’esito, non sarà più possibile distinguersi sia dai TTR (tutto tranne Renzi) sia dai sacerdoti della mistica costituzionalista.
di Franco Debenedetti
clicca qui per acquistare il volume con il 15% di sconto
Altre Rassegne
- Il Sole 24 Ore 2016.07.27
Il dilemma del Referendum
di verse persone