Da Vita.it del 14 aprile
Il colpo di Stato che, nel febbraio 2014, ha deposto Janukovyč è stato solo l’ultimo tentativo di spingere l’Ucraina nella Nato, preparando così il terreno alla definitiva disintegrazione della Russia come Grande Potenza. Ma se l’Ucraina entrasse definitivamente nell’area di influenza occidentale, il confine russo diventerebbe indifendibile e instabile. Con quali conseguenze, nel breve e sul lungo periodo? Ne parliamo con Eugenio di Rienzo
Non passa giorno senza che una dichiarazione, un gesto, atti politici o movimenti finanziari lacerino quel che resta di un cessate il fuoco che a molti osservatori era apparso ab origine troppo poroso e fragile.
Mentre per “Forbes” l’economia ucraina – che molto dipende da investimenti occidentali e dai prestiti del Fondo Monetario internazionale – è prossima al collasso, in Italia è calato il silenzio o quasi.
Eppure, con i suoi 46milioni di abitanti su 700mila chilometri quadrati di estensione, l’Ucraina è il più grande Stato europeo, dopo la Russia ovviamente. Sul territorio ucraino passano 40mila chilometri di gasdotti che collegano proprio la Russia e l’area del Mar Caspio, contribuendo a alimentare per il 31% il consumo energetico di Europa e Turchia. L’Italia, da sola, soddisfa il 43% del proprio fabbisogno energetico attraverso i gasdotti che passano da questa linea di faglia.
Una linea fortemente destabilizzata dopo il colpo di Stato che, nella notte tra il 23 e il 24 febbraio 2014, ha visto la deposizione di Viktor Fedorovyč Janukovyč e l’apertura di un nuovo, Grande Gioco di cui l’Ucraina è certamente la pedina più rilevante
Ne parliamo con il professor Eugenio di Rienzo che insegna Storia moderna all’Università di Roma “La Sapienza” e ha da poco pubblicato, per i tipi di Rubbettino Editore, un prezioso lavoro: Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo dis(ordine) mondiale (pagine 104, euro 10), che verrà presentato a Roma il 17 aprile.
Nel suo libro, lei dedica molta attenzione al rapporto tra presente e passato nella crisi Ucraina. La situazione geopolitica e la crisi fanno riaffiorare ciò che è sedimentato nella memoria di un popolo e le sue aspirazioni nazionali (usiamo pure una parola “maledetta”: identità), fatto che sembra contraddire un certo assolutismo storicistico che propende per il non ritorno delle vecchie questioni nella storia. Al contrario, l’Ucraina rivela oggi una faglia non solo geopolitica, ma geostorica dove antichi nodi riappaiono e si legano ai nuovi…
Eugenio di Rienzo: È vero che, per usare l’espressione di Eraclito, non ci si bagna mai nell’acqua dello stesso fiume. Il fiume scorre sempre e porta nuova acqua. Questa è una bella metafora per indicare il progresso storico. Però non bisogna cadere nella trappola dello storicismo assoluto, perché la storia è eterno fluire ma è anche ritorno di alcune costanti.
Da che cosa sono date queste costanti?
Eugenio di Rienzo: Sono date da due fattori. Primo fattore: la memoria dei popoli, che talvolta riaffiora come un ricordo commosso, altre come un vero e proprio incubo. Secondo fattore: la posizione geopolitica, in particolare di alcuni Paesi che costituiscono quelle che tecnicamente chiamiamo aree cardine. Un’area cardine è un Paese che domina uno scacchiere strategico di particolare importanza. Ad esempio, l’Italia è sicuramente un’area cardine per quanto riguarda il Mediterraneo, l’Afghanistan lo è per l’Asia centrale e l’Asia meridionale, poiché confina con Cina e India, e l’Ucraina lo è nei confronti dell’Eurasia e, ovviamente, nei confronti della Russia. Basta guardare una cartina geografica per osservare che l’Ucraina confina abbondantemente con la Russia, è separata dal Kazakhstan solamente da una sottile striscia di territorio russo e poi è un Paese che domina il Mar Nero. O meglio: che lo dominava, perché ora la Crimea, con il grande porto di Sebastopoli, base navale prima dell’Impero russo e poi dell’Unione Sovietica, non appartiene più all’Ucraina. I porti di Crimea costituiscono l’accesso della Russia ai mari caldi: dal Mar Nero al Mar Egeo, al Mediterraneo.
La destabilizzazione dell’area è avvenuta anche attraverso la Romania, il cui riarmo navale è stato garantito dagli Stati Uniti. La destabilizzazione di quest’area può avere degli effetti di lunga durata che rischiamo di non cogliere pienamente…
Eugenio di Rienzo: Muovere anche un solo elemento in quest’area può stravolgere un equilibrio geopolitico cruciale, che avrà ripercussioni a livello globale. Il caso della Romania è peculiare. La Romania si sta sostituendo alla Turchia, considerata meno affidabile, come sentinella occidentale sul Mar Nero. La Turchia è stata questa sentinella dalla fine della Seconda Guerra mondiale, era la potenza che conteneva l’Urss sul Mar Nero, grazie al possesso degli Stretti. Oggi, questo ruolo sta passando alla Romania, che storicamente non è mai stata una grande potenza navale. È un fatto assolutamente nuovo, ma questo riarmo navale della Romania sotto egida Nato e con capitali statunitensi è solamente una tessera di un mosaico più grande: l’accerchiamento della Federazione russa iniziato dopo il 1991. Sempre con un occhio alla carta geografica, si vede che tutti i Paesi dell’ex blocco comunista, che partecipavano a Patto di Varsavia, sono entrati in rapida successione prima nell’Unione Europea e, poi, nella Nato.
Questo in netta contraddizione con le promesse dell’allora Segretario di Stato Baker, che nel 1990 “rassicurava” gli animi affermando che la Nato non si sarebbe allargata a est…
Eugenio di Rienzo: Esattamente. E questa “apertura” ha comportato un accerchiamento geostratrategico della Russia. Accerchiamento che è stato realizzato venendo meno a una promessa solenne, che lei rammentava, promessa fatta alla Russia dal Ministro degli Esteri della Germania Federale e dal Segretario di Stato americano. La promessa consisteva in questo: se la Russia avesse smobilitato tutte le sue truppe dalla Germania dell’Est – cosa che la Russia fece -, mai nessun Paese appartenuto al blocco comunista sarebbe entrato nell’Unione Europea e nella Nato. Questo spiega anche l’attuale reazione della Russia, che si sente come un orso – animale totemico del Paese – stretto in un angolo e, di conseguenza, è costretto a reagire.
Più che l’opzione di Henry Kissinger, che invitava tra le altre cose a non destabilizzare la Russia, è prevalsa l’opzione di chi vorrebbe inserire stabilmente l’Ucraina nell’area di influenza di Washington. Con quali conseguenze è facile comprenderlo: la Russia sarebbe indifendibile e rischierebbe di vedere ridotto il proprio rango da potenza globale a potenza regionale, rendendo l’asse Washington-Berlino-Varsavia potenza egemone sull’Hearthland euroasiatico…
Eugenio Di Rienzo: L’aumento di potenza sarebbe soprattutto quello di Washington. Parliamoci chiaro: la Nato era e resta a direzione statunitense. Come logica conseguenza di questa realtà, comprendiamo tutti che espandere la Nato a Oriente significa espandere la potenza americana a Oriente. Operazione che, d’altronde, gli Stati Uniti hanno cercato di condurre a termine anche in Asia centrale, nelle Repubbliche ex sovietiche. E ricordiamoci di una cosa fondamentale: gli Stati Uniti restano in Afghanistan, nonostante avessero promesso di ritirarsi. Là il “Grande gioco” è tutt’ora in corso.
Demonizzare l'”antidemocratico” Putin basta per nascondere questa stratificazione di problemi?
Eugenio Di Rienzo: Putin non rappresenta certo la figura tipica del governante occidentale, non è ispirato a una vera o presunta purezza di principii liberal democratici. Bisogna però ricordare che Putin gode della fiducia del 80% del suo popolo. Quando si parla di politica estera e si vanno a toccare equilibri così delicati e vitali non si può fare una distinzione tra buoni e cattivi, né l’Occidente può pretendere che tutti debbano avere il sistema politico che regge l’Occidente.
«Oggi è necessario mettere un freno all’isteria, rifiutare la retorica della Guerra Fredda e accettare, come un fatto ovvio, che la Russia è un protagonista indipendente, attivo, sovrano della dinamica internazionale. Come tutti gli altri Paesi ha i suoi propri peculiari interessi che devono essere tenuti nel debito conto e rigorosamente rispettati». Con queste parole, rivolte ai deputati della Duma di Stato, che li pone in esergo al suo libro, Vladimir Putin è stato chiaro…
Eugenio Di Rienzo: Ma ce la figuriamo una Cina – Paese che ha circa settanta etnie diverse, un’estensione continentale – retta da puri principi liberali? Lo stesso discorso fatto per la Cina, vale per la Russia. Non facciamoci abbagliare dal chiacchiericcio e dal brusio di sottofondo. Dobbiamo capire che il nostro non è un modello che possiamo affermare e esportare a piacimento, dove e quando vogliamo. Questo l’ha capito Berlino. L’Istituto di Studi Strategici e politici, che è un’emanazione del Governo tedesco, ha dichiarato che la politica estera di Berlino non si può ispirare all’idea di cambiare i regimi di altri Paesi. Questo è evidentemente un messaggio rivolto a Washington.
In quel discorso, Putin parlò precisamente di isteria della guerra fredda. Ritengo siano parole appropriate, perché nel ragionamento sul contrasto tra Occidente (diciamo: Usa) e Russia troppo spesso si fa ricorso a espressioni del tipo “ritorno alla Guerra fredda”. Ma è un’affermazione mistificante. La Guerra fredda, così come si è storicamente configurata, vedeva un’Unione Sovietica all’attacco. L’orso russo era aggressivo e bramoso di preda e andava contenuto. Oggi, la situazione è completamente rovesciata, con una Nato che sposta costantemente i suoi confini verso il territorio russo. La Nato è una singolare alleanza: nella storia dell’umanità, non si conosce un’alleanza altrettanto duratura. Le alleanze, solitamente, durano per il tempo di guerra. Ma la Nato è rimasta in piedi e cerca sempre un suo avversario potenziale. I russi, oggi, ritengono di essere questo avversario e non hanno tutti i torti.
A un anno di distanza dal referendum in Crimea, il realismo comincia a farsi largo. Anche sulle sanzioni, sul medio termine il muro della retorica comincia a sgretolarsi, anche perché la Russia ha cominciato a stringere accordi con altri Paesi: Cina, India, l’Iran oggi tornato anche formalmente sulla scena.
Eugenio Di Rienzo: Questa è una costante della storia Russa: minacciata a Occidente, si rivolge a Oriente. Si rivolge principalmente alla Cina. Il contratto per l’esportazione di gas e petrolio russo alla Cina è mostruoso, dal punto di vista quantitativo. Ricordiamoci inoltre che la Cina sta ricostruendo, con alta tecnologia, quella che era la Via della Seta, via che non può che avere come terminale Mosca. Per le centrali nucleari, la Russia ha stretti rapporti con l’Iran. Per la fornitura di energia, rapporti li ha con l’India. Poi ci sono i legami con la Grecia e l’Egitto, Paesi che affacciano sul Mediterraneo. E ricordiamo il vecchio sogno russo di avere basi sul Mediterraneo. Per quanto riguarda le sanzioni, sicuramente hanno colpito gravemente la Russia, il rublo non è crollato ma ne ha moltissimo risentito. Le sanzioni hanno però avuto un effetto boomerang su alcune economie occidentali. In particolare, quella della Germania e dell’Italia. Ricordiamo che l’Italia è il secondo partner europeo e il quarto al mondo della Russia. Il danno che è stato fatto all’economia italiana – in particolare all’agroalimentare, alla cantieristica navale, al commercio di beni di lusso – allo stato attuale ammonta a circa 200 milioni di euro. Una cifra enorme, per un Paese disastrato come il nostro.
Davanti a questi dati, c’è chi rispolvera un gergo da guerra fredda e parla di finlandizzazione (“Finland option”) dell’Ucraina.
Eugenio Di Rienzo: Partiamo dalla fine della Seconda guerra mondiale, quando la cosiddetta “finlandizzazione” diventa una realtà. L’idea fu di Stalin, ma fu accettata dall’Occidente: fare della Finlandia uno Stato neutrale, non allineato né da un punto di vista economico, né da un punto di vista militare. Uno Stato che doveva avere – ed ebbe – buoni rapporti sia con il locco comunista, sia con il blocco occidentale. La Finlandia era un Paese certamente meno importante dell’Ucraina, da un punto di vista economico – ricordiamoci due dati sull’economia ucraina di oggi che non valgono per la Finlandia di ieri: la grande produzione agricola di cereali e il fatto che gran parte dei gasdotti e degli oleodotti russi passano sul suo territorio. La Finlandia aveva però un ruolo strategico importante: dominava il Golfo di Botnia e, quindi, l’accesso a Leningrado. Ora, questa neutralità piena della Finlandia altro non ha fatto che disinnescare un punto di crisi, senza che la Finlandia avesse nessun danno. La Finlandia, oggi, è nell’Unione Europea, ma è anche in buoni rapporti con la Russia, non avendo applicato le sanzioni. Per l’Ucraina, questa “Finland option” era l’ipotesi di Kissinger, ma è stata anche l’ipotesi di Bush padre. Bush padre andò al Parlamento ucraino e ammonì: non dovrete mai, in nessuna maniera, entrare in collisione con la Russia, questo per il vostro bene, ma soprattutto per il bene dell’equilibrio mondiale. Dopo Bush padre, abbiamo assistito a una degradazione della classe politica statunitense ed è successo il caos.
Più che una grande scacchiera, sembra di trovarsi davanti a un grande domino. Toccata una pedina – l’Ucraina – le ripercussioni su altre pedine, vicine o lontane, sono molteplici e impreviste…
Eugenio Di Rienzo: Tutto avviene come per contagio, cadono i punti fermi. Cominciamo a chiederci quali sono gli effetti dell’animosità occidentale verso la Russia. E – chiariamoci – non si tratta di un’animosità a parole, esistono. Infatti, piani Nato per una minaccia attiva contro la Russia, riarmo dell’Ucraina, riarmo dei Paesi confinanti, stazionamento di contingenti Nato in Polonia e nelle Repubbliche baltiche. L’effetto principale di questa nostra animosità è che abbiamo buttato la Russia nelle braccia della Cina.
L’importanza della Cina per la sicurezza geostrategica dell’area euroasiatica sta dunque crescendo…
Eugenio Di Rienzo: Fonti di Washington e del Pentagono ci dicono che, se mai ci sarà uno scontro globale, questo sarà con la Cina. Ambienti Nato lo prevedono da qui ai prossimi dieci anni. Parlano di uno scontro, che potrà essere militare, economico, finanziario, ma basta vedere quel che sta succedendo nel Mar della Cina con il riarmo navale del Giappone, il potenziamento dello schieramento Usa nelle Filippine, in Australia e ora persino nel Vietman.
L’atteggiamento di ostilità nei confronti della Russia sa tanto di autolesionismo, almeno per l’Italia…
Eugenio Di Rienzo: Una certa russofobia ha portato nel cuore della nostra Europa delle gravissime ripercussioni. Tra queste ricordiamo una spaccatura, in sede europea, tra un fronte antirusso e interventista che va dalla Polonia ai Paesi Baltici alla Svezia e un fronte dialogante, che è Berlino ma è anche – lo dico per dovere di oggettività – Roma. Chiaramente, Renzi ha detto che è folle rompere ora con la Russia. Anche perché la Russia è la nostra migliore alleata nella lotta contro il terrorismo islamico. Con l’emergenza che abbiamo, perché dobbiamo toccare ciò che già adesso, nei fatti, è il nostro migliore alleato? Ricordiamoci che l’esercito siriano, che si è ben battuto contro l’Isis, è rifornito dalla Russia e solo dalla Russia.
L’OSPITE
Eugenio di Rienzo insegna Storia moderna all’Università di Roma “La Sapienza”. Direttore della “Nuova rivista storica”, ha pubblicato, tra gli altri: La storia e l’azione. Vita politica di Gioacchino Volpe (Le Lettere, 2008); Napoleone III (Salerno editrice, 2010); (con Emilio Gin), Le potenze dell’Asse e l’Unione Sovietica, 1939-1945 (Rubbettino, 2013); Afghanistan. Il Grande Gioco, 1914-1947 (Rubbettino, 2014).
IL LIBRO
Eugenio Di Rienzo, Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo dis(ordine) mondiale, Rubbettino, 2015.
di Marco Dotti
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