Da La Repubblica del 3 novembre
La reviviscenza dell’ideologia religiosa ortodossa nel mondo russo è parallela al crescere degli integralismi nelle altre confessioni. Ma l’ortodossia russa ha in più, a sorreggerla, una bimillenaria intimità con lo Stato, una vocazione nazionalista, una capacità di rielaborazione del passato in grado di abbattere la linea dí confine con il presente. Il più brillante e attivo attualizzatore del passato russo, della tradizione ortodossa e della radice bizantina dell’antico impero euroasiatico oggi governato da Putin è un colto e carismatico prelato: Tíchon Sevkunov, archimandrita del monastero Sretenskij sulla Lubjanka (che qualcuno in Russia ha ironicamente definito “l’ufficio ideologico del Cremlino”), membro del Consiglio Superiore della Chiesa Ortodossa Russa, segretario esecutivo del Consiglio Patriarcale per la Cultura, pochi giorni fa innalzato alla carica di vescovo di Yegoryevsk e vescovo vicario di Sua Santità il patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kiril I.
Da almeno un decennio corre voce che Sevkunov sia il dukhovnik, il confessore o padre spirituale di Putin – circostanza che nessuno dei due ha finora mai confermato né smentito – ed è stato chiamato, con un facile gioco di parole, il suo Rasputin.
Quand’anche, sarebbe un Rasputin del nostro tempo, non demoniaco ma angelico e telegenico, perfetto per la comunicazione: occhi chiari, lunghi capelli chiari raccolti in una coda di cavallo, un malizio sosorriso. Lo incontriamo in uno dei più eleganti alberghi di Roma, dove è venuto a presentare la traduzione italiana del suo bestseller – più di un milione di copie vendute in Russia, vari milioni di download, edizioni in dieci lingue: Santi di tutti i giorni (Rubbettino), una rivisitazione lirica e forse un po’ troppo irenica, secondo alcuni critici, del mondo monastico russo colto nel momento del trapasso fra le repressioni della stagnazione sovietica e la glasnost degli anni ’80, durante cui Sevkunov si è convertito, per monacarsi proprio nel ’91, l’anno del golpe di Eltsin. Oggi Sevkunov non è più l’enfant terrible, il provocatorio ideologo che nel 2008 ha fatto scalpore per il manifesto visivo di quella che poteva considerarsi la piattaforma bizantina della svolta di Putin: La distruzione dell’impero: una lezione bizantina, cortometraggio in cui la ben documentata ricostruzione del passato di Bisanzio, alle radici della vocazione geopolitica russa, e la violenta denuncia dell’occidente, nemico dei valori dell’ortodossia e dissanguatore del millenario impero poi abbandonato all’orda ottomana, indirizzavano la loro “lezione” storica ai simpatizzanti del nuovo nazionalismo putiniano. Oggi la visione che Sevkunov offre della madre Russia è molto diversa. «Cos’è la Russia? È un sorprendente e splendido mistero. Sostengono che sia una sorta di ponte tra Occidente e Oriente. Il nostro presidente recentemente ha ironizzato sulla cosa sostenendo: “Sono Oriente e Occidente che si trovano a sinistra e destra della Russia”».
Come si governa la Russia?
«L’imperatore Alessandro II una volta affermò: “Governare la Russia è molto facile, ma inutile”. Christof von Munnich, il famoso statista, un secolo prima aveva stigmatizzato: “Lo Stato russo ha un privilegio rispetto agli altri e cioè è governato direttamente da Nostro Signore, altrimenti non si capirebbe come faccia a esistere.” Nell’Ottocento Fédor Tjutcev, il poeta, riflettendo su questo punto, ha scritto: “La Russia non si intende con il senno… In lei si può soltanto credere”. La definizione di Russia più antica e più radicata nel popolo è quella di Santa Rus’. La santità è il nostro ideale fuori dal tempo».
La chiesa e la politica in Russia sono molto legate.
«Ci sono ben noti questi cliché ideologici che tendono a mostrare una chiesa russa indissolubilmente fusa con lo Stato in un unico organismo. Non c’è assolutamente nulla di vero. La Chiesa e lo Stato hanno in effetti molti progetti comuni. Ma la Chiesa non partecipa all’attività dei partiti, né in politica interna né in politica estera».
Secondo alcuni intellettuali russi dell’opposizione l’ideologia religiosa ortodossa non ha fatto altro che riempire di contenuto politico un presunto complesso di inferiorità della Russia verso l’occidente.
«Altro cliché ideologico: l’ortodossia riempirebbe il vuoto odierno dell’ideologia russa. Ora, l’ideologia di Stato è vietata in Russia dalla Costituzione. Un indirizzo intellettuale e sociale che sostiene lo Stato é il patriottismo inteso come amore per la Russia e servizio al paese. Può avere una sfumatura religiosa, può essere ortodosso, ma anche musulmano».
Parliamo allora del passato recente. Una parte della chiesa è stata perseguitata nel periodo sovietico. Nel suo libro sulla vita del Monastero delle Grotte di Pskov compaiono figure di religiosi che hanno subito la persecuzione in prima persona.
«La Chiesa russa ha una grandissima esperienza, a tutt’oggi ineguagliata, di sopravvivenza in uno Stato ateo e miscredente. Il mio padre spirituale, Ioann Krestjankin, di cui si parla in questo libro, ha trascorso molti anni nei lager staliniani. Era stato tradito dal parroco della sua chiesa, venne arrestato e trascorse un intero anno nelle carceri della Lubjanka. Padre Ioan sapeva che era lui ad averlo tradito. Ma quando vide il fratello sacerdote lo abbracciò e baciò. Quello svenne e l’ultimo interrogatorio non ebbe luogo».
C’è un’altra parte della chiesa che ha collaborato con il potere sovietico. «Alla metà degli anni ’20 alcune persone, guidate dal Santo Patriarca Tichon, che allora era a capo della Chiesa, capirono che il potere sovietico sarebbe durato a lungo. La Chiesa allora, senza scendere a compromessi sulle questioni di fede, riconobbe ufficialmente il potere sovietico e invitò gli ortodossi a conservare la propria fede mantenendo un atteggiamento leale nei confronti dello Stato».
Il monastero Stretenskij, di cui lei è archimandrita, si trova sulla Lubjanka, vicino all’antica sede del Kgb. Il suo libro ha anche il senso di una riconciliazione tra fazioni opposte?
«Chiunque venga da noi al monastero vede la croce eretta a ricordo dei martiri del periodo sovietico. Ma la riconciliazione tra torturati e torturatori è possibile solo nel regno dei cieli, non è di nostra competenza».
Lei ritiene che oggi in Russia ci sia libertà di espressione?
«È difficile avere un’idea precisa di quello che la confusa e capricciosa opinione pubblica occidentale considera libertà d’opinione. Posso solo raccontare quello che accade oggi davanti ai nostri occhi in Russia. In molti mezzi di comunicazione di massa la critica arriva a scorretti attacchi personali e a discutere perfino di possibili forme di aggressione fisica. Dal mio punto di vista questa non è libertà, ma arbitrio».
Cosa ci dice del rapporto tra la Russia e la tradizione imperiale bizantina, di cui ha parlato nel suo film “Una lezione bizantina”?
«La Russia ha preso molto da Bisanzio. La fede, la scrittura e in gran parte anche la cultura e la struttura sociale. La Russia e Bisanzio sono legate tra loro come madre e figlia. Per questo è stato per me molto interessante esaminare le malattie e i problemi di Bisanzio che hanno portato alla sua crisi e che in qualche misura potevano essere trasferite alla Russia. Di questo tratta il mio film, una parabola».
Questo tipo di parabola, raccontare il presente attraverso il passato, ha una lunga tradizione nell’intelligencija russa, ma anche in quella sovietica. Nel celebre interrogatorio del ’47 al Cremlino, al quale Stalin sottopose Ejzenttejn per il suo film “Ivan il Terribile”, la prima accusa mossa al terrorizzato regista era stata di non conoscere la storia bizantina a sufficienza.
«Fino a metà degli anni ’30 lo studio della storia e in particolare la bizantinistica erano vietate nella Russia sovietica anche nelle scuole. Nel 1943, Stalin reintrodusse lo studio della bizantinistica: aveva capito quanto fosse importante per la Russia studiare l’esperienza di Bisanzio».
II fatto è che EjzerCstejn, in “Ivan il Terribile”, usava la storia e l’ideologia bizantina dello zar passato per criticare lo zar in carica, ossia appunto Stalin.
«Ivan il Terribile fu una figura estremamente complessa. Durante il suo regno, durato più di cinquant’anni, furono giustiziate per suo ordine più di quattromila persone, delinquenti comuni compresi. Ma nella sola notte di San Bartolomeo, mentre Ivan imperava appunto, vennero uccise trentamila persone. Potremmo fare un lungo elenco di nomi, cifre e terribili eventi di quell’epoca: Luigi XI soprannominato il Ragno, Riccardo III, uno degli eroi shakespeariani, il duca di Alba, Cesare Borgia, Maria la Sanguinaria. Ma solo lo zar russo ha avuto l’onore di essere soprannominato “terribile”. La cosa non ci stupisce né ci preoccupa»
di Silvia Ronchey
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