Verso un'economia umana
a cura di Dario Antiseri e Flavio Felice
Da Italiaoggi.it
Da alcuni mesi tiene banco in libreria un libro, pesante e pretenzioso, di Thomas Piketty, che, alla sua comparsa in italiano, fu osannato alla Camera dei Deputati da Laura Boldrini e Stefano Fassina: Il capitale del XXI secolo (Bompiani). Esso riprende, lui dice aggiornati, i miti economici di Marx: sfruttamento e spoliazione, emarginazione e miseria crescente.
La pesante crisi economica ha favorito il recupero di argomenti a favore dello statalismo, ora per motivi politici, ora in nome di presunti valori morali e religiosi. E mentre il comunismo è caduto, le sue favole riemergono, anche nei sacri palazzi, così sensibili agli appelli di quel marxismo camuffato che fu la teologia della liberazione: il capitalismo avrebbe prodotto un nuovo pauperismo e sarebbe ancora responsabile delle guerre che insanguinano il pianeta. Nella sua commossa omelia per la Pasqua, ricordando gli studenti uccisi nel Kenia, papa Bergoglio ha condannato i «mercanti di armi». Giusto, ma forse c’entravano anche gli islamici.
È diffusa la convinzione che gli europei, costruttori della più ricca e libera società della storia, dovrebbero vergognarsi di se stessi. Per fortuna c’è anche l’altra campana. Quella che propone un liberismo economico che non produce monopolio capitalistico, in quanto inserisce il sistema produttivo nella tradizione etica e religiosa dell’Europa. L’economia è la base materiale del benessere, ma diviene positiva solo quando concorre a realizzare valori non economici, come la libertà (liberalismo) e la solidarietà (socialismo). È vero che il liberismo economico senza limiti, quello contro cui combatteva Luigi Einaudi, produce disastri; ma ben più grandi sono stati quelli prodotti dal comunismo, la cui pianificazione ha distrutto la libertà senza produrre benessere.
Ne deriva che il sistema economico più utile è quello che rifiuta statalismo e liberismo selvaggio, una terza via, che Wilhelm Röpke (1899-1966) chiamava «economia sociale di mercato». Questo grande studioso visse e insegnò in Germania sino all’avvento del nazismo, quando si trasferì prima ad Istanbul, poi a Ginevra. Fu consigliere di Adenauer nella ricostruzione economica della Germania distrutta. Viene ora ripubblicata una sua opera del 1958, nella quale il discorso economico, semplice e lontano da ogni gergo specialistico, si estende alla morale e alla sociologia: Al di là dell’offerta e della domanda (Rubbettino, pp. 294, euro 16).
Guai se il motore dell’economia non fosse alimentato della domanda e dall’offerta. Ogni uomo mira alla propria utilità, il proletario non meno nel capitalista. L’iniziativa privata è la molla del benessere, ma non può essere lasciata a se stessa. Va controllata e frenata (antimonopolismo, tassazione progressiva, controllo dei conflitti di interesse e delle concentrazioni di proprietà). Ma ciò non significa trasferirla allo stato, che non è produttore, ma consumatore e troppo spesso dissipatore. Il collettivismo è la distruzione del benessere. Lo stato assistenziale è certo richiesto, ma va limitato il più possibile, in quanto produce sperpero di ricchezza, inflazione cronica e blocco della iniziativa. Il danaro, se prima non è prodotto, non può essere distribuito.
Ridurre tutto all’economia, considerare il resto, comprese la morale e la politica, sue variabili dipendenti, significa creare un sistema culturale «spiritualmente ottuso». Diversa la nostra tradizione europea, figlia della filosofia greca e della religione cristiana, «i veri antenati del liberalismo». Solo la distinzione tra Dio e Cesare difende la libertà dell’individuo rispetto allo Stato. Il liberalismo di Röpke nulla ha in comune col radicalismo e il libertinismo, è un liberalismo religioso, al quale conduce anche la dottrina sociale della Chiesa, quando non è corrotta da fondamentalismi collettivistici sudamericani: «un buon cristiano è un liberale inconsapevole».
Gli eccessi del capitalismo vanno rifiutati. Ha avuto ragione papa Francesco, quando ha ripreso l’episodio evangelico della cacciata dei mercanti (laici e ecclesiastici) dal tempio. Giusto che chi entra in chiesa paghi il ticket, ma non che vi commerci dentro. Poteva tuttavia ricordare anche la parabola dei talenti. Cristo non caccia i mercanti dal mercato, anzi li apprezza: il servo fedele è quello che sa utilizzare il danaro, anche in banca (Mt 25, 27), per realizzare un guadagno; chi non lo fa è «un servo malvagio e infingardo».
La perenne attualità della proposta di Röpke è quella di mostrare che un sistema economico è europeo solo quando rispetta i suoi fondamenti cristiani: «Iniziativa individuale, senso di responsabilità, indipendenza ancorata alla proprietà, equilibrio e audacia, calcolo e risparmio, organizzazione individuale della vita, inserimento nella comunità, sentimento della famiglia, della tradizione e della continuità storica, apertura alla realtà presente e all’avvenire, senso dell’ordine naturale delle cose e solida gerarchia dei valori» (p. 113).
di Gianfranco Morra
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