Da Italia Oggi del 21 aprile
I diritti come mistificazioni di interessi (Marx), i valori come espressioni del risentimento (Nietzsche), la morale come sublimazione del sesso (Freud). I maestri del sospetto hanno lastricato la nostra civiltà della dietrologia: «io non ti credo, dimostramelo; perché ciò che tu chiami X, in realtà, guardato sotto e dietro, altro non è che Y». Lo aveva capito l’intelligenza luciferina di Giulio Andreotti: «A pensar male si fa peccato, ma il più delle volte ci si indovina».
E’ sempre accaduto. Il «sospetto» corrisponde alla pigrizia delle masse, che, incapaci di ragionare sui fatti, hanno bisogno di pensare a trame subdole e a disegni segreti; ma diviene uno strumento normale nei paesi autoritari e totalitari, che non solo nascono e mantengono la violenza, ma inventano per giustificarla le macchinazioni nascoste dei nemici del regime. Di certo la nostra società occidentale nella complottomania ha battuto tutte le altre. Anche perché il sistema dei media vive della rivelazione ininterrotta, allusiva e sempre criptica, dei complotti: una accusa vaga e indistinta che lascia tutto in dubbio.
Ce lo ricorda una originale raccolta di saggi, appena pubblicata da Alessandro Campi e Leonardo Varesano, Congiure e complotti. Da Machiavelli a Beppe Grillo (Rubbettino, pp. 230, euro 16). Un libro a più voci, italiane e mondiali, che si sofferma su alcuni episodi esemplari di congiura, da quella di Cambise contro il fratello per il trono di Persia agli assassinî di Giuliano de’ Medici e Kennedy, dall’abbattimento delle Torri Gemelle alla caduta del governo Berlusconi. Perché la storia, come diceva Schopenhauer, cambia sempre, ma non cambia mai (aliter sed eadem).
Il contributo più rilevante della ricerca è la distinzione tra la potenza della congiura, progettata nel silenzio, che muta il corso della storia, e la superficialità del complotto, esplosivo e chiassoso, ma ben presto dimenticato. Machiavelli aveva capito benissimo il ruolo insostituibile della congiura in politica. Come quando descrive, con olimpico distacco anche nello stile, quella del Valentino a Senigallia, che, invitati a pranzo quattro nobili suoi alleati, «fecegli strangolare». La «con-giura» appartiene a «uomini grandi» (Machiavelli, Discorsi, III, 6), che «giurano insieme» di eliminare i nemici. Essa trasforma profondamente il corso della storia, mentre il vittimismo complottista non muta niente, è un contentino per il cittadino, che protesta solo per tranquillizzarsi la coscienza e non impegnarsi per migliorare la società. Il sociologo Durkheim aveva mostrato che «quando la società soffre, sente il bisogno di trovare qualcuno a cui attribuire il male».
Da noi questo alibi esprime la mancanza di libertà e di senso civico, come aveva capito Francesco De Sanctis nel 1869: «Non sappiamo pensare a qualcosa senza vederci, oltre il lato apparente, quello nascosto, una cospirazione alla quale ci ha abituato la tirannide secolare». L’Italia è una democrazia, che significa trasparenza e razionalità, ma il complottismo vi è un abito mentale universale e insuperabile. Tanto che non vi è atto sociale o politico dietro il quale non si supponga un complotto: dalle morti di Mattei e Moro alle dimissioni di Berlusconi, Prodi e Monti, dal vero o presunto dopaggio di Pantani al naufragio della Concordia, dalla morte di don Verzé alle dimissioni del papa.
Ipotesi e narrazioni spesso fantastiche e favolistiche, largamente usate come difesa dagli imputati di reati economici e politici: «chiedetevi chi ha interesse ad accusarmi». Nascono così le figure mitologiche delle logge, delle mafie, del Grande Vecchio, dei poteri forti, degli spezzoni deviati, tanto più credute quanto più generiche e indefinite. Ma l’Oscar della tecnologia cospirazionista spetta al movimento di Grillo e Casaleggio, non a caso inventori di quella web-politica, che trova nei social network lo strumento più efficace per pubblicizzare il sospetto e sputtanare i nemici. Un movimento che si nutre quasi esclusivamente di accuse complottiste, rivolte a politici, magistrati, intellettuali, giornalisti, economisti, burocrati, senza proporre programmi e strategie positive di recupero.
Gli esempi pentastellati sono innumerevoli: la crisi dell’euro attribuita alla massoneria, i vaccini una pericolosa invenzione per vendere, l’Aids una cospirazione internazionale della grandi case farmaceutiche, la campagna per convincere gli italiani che le certissime sirene non esistono, il controllo della popolazione per mezzo di microchip inseriti nel corpo umano. Spetta ad una grillina consigliera comunale di Bologna la scoperta più originale del complotto: il terremoto emiliano del 2012 provocato da cariche fatte brillare nel sottosuolo per scoprire idrocarburi. Anche la rielezione di Napolitano è stata classificata da Grillo come un complotto.
Credere nel complotto diviene in molti elettori una sorta di autoassoluzione, la certezza che i colpevoli ci sono, nascosti nell’ombra dei Palazzi e delle istituzioni, ma non li conosceremo mai. Come potremmo vivere, nella nostra situazione così malconcia, senza consolarci con la certezza che un Belzebù agisce nell’ombra e produce i mali del presente? I complottisti esprimono una fede nichilista, trovano una consolazione surrogatoria, si dotano di un kit di sopravvivenza: «Il nostro complotto quotidiano, dona a noi o Signore».
di Gianfranco Morrai
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