Nicholas Farrell, Giancarlo Mazzuca
Il compagno MussoliniLa metamorfosi di un giovane rivoluzionario
da Il Messaggero del 26 Novembre
Ho fra le mani e sotto gli occhi, l’ultimo libro di Giancarlo Mazzuca e Nicholas Farrel, edito da Rubbettino, “Il compagno Mussolini”. Farrell lo conosco solo attraverso i suoi scritti impertinenti e controcorrente. Di Giancarlo Mazzuca, detto anche, a scelta, Giancarlone o Mazzucone, sono vecchio amico. È il più romagnolo dei romagnoli che mai mi sia capitato di incontrare. Ha la stazza di un lottatore e di un buongustaio, che ama la daga quanto la mortadella e i tortellini di cui, non a torto, è considerato il massimo esperto vivente. Se li confezioni personalmente non so, ma ho visto con che voluttà li divora.
È nato direttore e resta un grande direttore. Purtroppo, ha commesso il più fatale errore che un giornalista possa commettere. Ha lasciato la poltrona di direttore del Quotidiano Nazionale per cucirsi sul petto i più inutili e screditati galloni di deputato nelle file del Popolo delle Libertà. Mai scelta è stata più infelice, mai clausura, negli ambulacri di Montecitorio, più tediosa. Un uomo come lui, intruppato con ominidi e omuncoli, vegetariani a tavola, ma onnivori sulle rispettive cadreghe.
Finalmente Giancarlo è tornato al vecchio amore e oggi dirige “Il Giorno”. Nei momenti liberi e nelle notti sempre più tristi, lontano dalla sua Bologna, ha scritto a quattro mani con Farrell, che, mi dicono, sia uno spadaccino di fegato e di spirito, una golosissima chicca sul compagno Mussolini, cioè su Mussolini socialista. E non socialista moderato, riformista, alla Treves o alla Turati, ma estremista, massimalista, bordighiano.
Benito, socialista come il padre, il fabbro e trattore Alessandro, abbronzato al Sole dell’Avvenire, focoso, e goloso anche lui di tortellini. Il nome Benito non era stato scelto a caso. Così si chiamava il rivoluzionario messicano Juarez, giustiziere dell’imperatore Massimiliano. L’estremismo del padre e del figlio, il loro spirito barricadiero, il loro virulento anticlericalismo tradivano le frustrazioni e le umiliazioni di un ceto decaduto ed emarginato. E che per questo predicava la rivoluzione.
Sulla fine del secolo il figlio aveva aderito all’Internazionale, diventando prosindaco. A 19 anni, per non fare, lui pugnace pacifista, il servizio militare e per sfuggire alla furia di un marito, la cui moglie aveva concesso i propri favori al playboy Benito, si rifugiò in Svizzera. Ci stette due anni e a Losanna seguì le lezioni dell’insigne economista e sociologo Vilfredo Pareto, le cui teorie sui limiti della democrazia, sulla violenza, sul ruolo protagonista delle minoranze lo riempirono d’entusiasmo.
Altro decisivo incontro fu quello con la pasionaria russa Angelica Balabanoff, una virago di trentatrè anni, d’estrazione borghese, colta e di gran temperamento che lo scozzonò ideologicamente e ne fece un seguace di Kropotkin e Lenin. Angelica non gli fece solo da mentoressa politica, ma anche da amante, da cuoca e da lavandaia.
Benito tornò in Italia, insegnò in varie scuole elementari, sedusse le donne di altri mariti, ma il suo chiodo fisso restava la politica.
Nel partito socialista bruciò le tappe: una ascesa prodigiosa. Divenne uno dei leader del partito e, nel 1912, eccolo direttore dell’Avanti!
In Italia e in Europa soffiavano venti di guerra. I socialisti erano contro, e contro, all’inizio, fu Mussolini.
Poi ci ripensò, si convertì all’interventismo e il partito lo cacciò “per indegnità”. Non si perse d’animo, con i quattrini (pare) dei francesi, fondò il “Popolo d’Italia”. Andò al fronte e si fece onore.
Questo il succo di un libro che si legge con diletto e profitto. Farrell e Mazzuca: un matrimonio perfetto. Attendiamo altri amplessi storici e letterari.
di Roberto Gervaso
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