Luca Pani, Gilberto Corbellini
Imperfezioni umaneCervello e dissonanze evolutive: malattie e salute tra biologia e cultura
Da Domenica (Il Sole 24 Ore) del 13 dicembre
Una risorsa ce l’avremmo per gestire le crisi. Si tratta della cultura, intesa come esperienza individuale e, meglio ancora, collettiva storicamente accumulata ed empiricamente validata, ma, anche in questo caso, siamo limitati per motivi legati all’evoluzione. Il nostro cervello, sul piano individuale, non è spontaneamente capace di usare in modo obiettivo i dati dell’esperienza. Dovremmo imparare a usare meglio il cervello per non cadere vittime delle trappole cognitive, ma soprattutto di quelle emotive che ci hanno tramandato quegli antenati che, comunque, proprio grazie a queste caratteristiche riuscirono a sopravvivere in un ambiente del tutto diverso dal nostro.
Una diffusa educazione scientifica, nel senso di un’educazione all’uso di metodi basati su analisi logicamente coerenti dei problemi, e sul controllo rigoroso delle soluzioni, possibilmente attraverso esperimenti, potrebbe fornire gli strumenti culturali per governare le crisi di un ecosistema umano sempre più innaturale. Mentre ci si dovrebbe guardare da chi propone di tornare alla natura, o avanza soluzioni spacciate per naturali. Sarebbe l’anticamera di ben più devastanti disastri.
Tecnologie parassitanti, che cioè utilizzano codici e linguaggi profondamente diversi tra loro, potrebbero darci una mano. È l’alba dei terminator di ultima generazione, non quella dei robot ionici e dei nanocalcolatori ad acido nucleico, roba sorpassata, e neppure l’ora delle macchine emotive a inferenza variabile, molto di più. La frontiera delle frontiere, quella dove non sì vede neppure la luce perché si va più veloci, si occupa proprio di analisi di complessità che si basano sull’incertezza. I confini si spingono, per la prima volta seriamente, sino a lambire l’Intelligenza Artificiale, e si basano sulla probabilità, sui meccanismi decisionali e, come abbiamo visto, sulla teoria dei giochi. Si basano, in fondo, sugli errori. Imparare in modo probabilistico, utilizzando dei database relazionali, legati ad algoritmi che si innovano in modo automatico man mano che le informazioni in rete crescono, è però quasi un delirio. Alcune implicazioni sono del tutto teoriche e concettuali, ma altre sono estremamente pratiche come l’analisi di dati biomedici eterogenei (epidemiologici, generici e genomici) o la diagnosi dei guasti (errori quindi) che occorrono in sistemi ibridi complessi altamente automatizzati.
Per saperne di più si può leggere cosa sta facendo il gruppo guidato da Daphne Koller a Standford (https://robotics.stan-ford.edu/-koller/) per predire gli ingorghi stradali, migliorare la visione artificiale o capire come si diffondono le metastasi. Osi dovrebbero usare metodi di statistica bayesiana (Thomas Bayes, 1702-1761), basati sulla probabilità che un evento A si verifichi a condizione che si verifichi un evento B (e quindi C, D ecc. ecc.)? Tale probabilità esprimerebbe una sorta di “correzione” delle attese sul valore di A dettata dall’osservazione di B e dunque in grado di modificare i dati in proprio possesso. Quello che vediamo, valutiamo, misuriamo non vale e non è vero se non è corretto da interferenze accessorie, che sono tanto più accurate quante più volte sono state ripetute. Vale forse la pena ricordare che la probabilità condizionata ha senso solo se l’evento B si può verificare (quindi non se è un evento impossibile), altrimenti non serve a niente.
Tutti questi sforzi sono volti a sviluppare nuovi sistemi di ragionamento logici che rispettano regole o se ne discostano in modo prevedibile. Invece che occuparsi di ciò che appare come tale, la logica probabilistica cerca di astrarre delle regole da tutto il resto, dal rumore di fondo che conferisce senso all’incertezza. Dato che la biologia è per definizione una “scienza dell’informazione” e poiché la maggior parte dei processi eventi a livello biochimico, cellulare, organismico o ecologico sono influenzati da altri processi/eventi, i modelli matematici informazionali stanno diventando fondamentali nella più profonda comprensione dei processi cellulari e molecolari.
Non solo. Anche identificare gli scarti nella matrice, le vibrazioni in un pattern altrimenti sempre identico a se stesso, potrebbe condurre a modellare la sublime dinamica del cervello umano e soprattutto la sua capacità di apprendere dall’esperienza, per giusta o sbagliata che sia. E non è roba da poco.
Il nostro cervello non procede mai per certezze, anzi. Nelle scelte fondamentali, una serie di circuiti ridondanti vagliano le diverse opzioni, ma – alla fine – la decisione è basata anche su variabili influenzate dai ricordi precedenti, condizioni cognitive, interferenze emotive e persino motorie. Uno dei motivi per cui il cervello umano potrebbe consentire differenti tolleranze nella valutazione degli errori che compie, tanto da evolvere dei circuiti dedicati, deriva probabilmente dal fatto che mentre alcuni errori sono potenzialmente letali, altri sono utili a imparare nuove strategie. È vero che un qualunque programma che ripete all’infinito lo stesso procedimento ha una sola modalità per migliorarsi, che è quella di diventare più veloce e più efficiente (ovvero meno costoso in termini energetico – economici), ma non inventerà mai niente di nuovo. In mancanza di errori, la struttura non potrà evolvere.
A ben guardare, il materiale biologico che più di ogni altro ha applicato il principio dell’errore è proprio il codice della vita, lo stesso Dna. «Tutto sommato, la storia degli errori dell’umanità sembra più importante e interessante di quella delle sue scoperte. La verità è uniforme e angusta; esiste costantemente e non sembra richiedere un’energia tanto attiva per mantenersi, è come se fosse basata su un’attitudine passiva dell’anima che la mantiene comunque nel tempo. Ma per quanto riguarda gli errori invece si tratta di un mondo infinito che non ha una realtà propria, è una creazione pura e semplice della mente che inventa quanto la circonda. Solo in questo modo l’intelletto ha abbastanza spazio per diffondersi, può visualizzare tutte le sue infinite facoltà e tutta una serie di comportamenti nuovi e stravaganti». L’avremmo voluto scrivere noi a conclusione di questo libro, ma lo sostenne Benjamin Franklin, nel suo rapporto al re di Francia sul magnetismo animale, nel 1784.
Brano tratto da “Imperfezioni umane” (Rubbettino, 2015)ÂÂ di Gilberto Corbellini e Luca Pani
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