da La Regione Ticino del 13 Giugno
UNA STORIA MONDIALE (VERA) IN 19 RACCONTI D’AUTORE (INVENTATI)
Per Stefano Marelli calcio e letteratura possono andare d’accordo, come dice il suo Fernando Varela che per godersi i Mondiali lascia Madrid e girovaga nella provincia spagnola. Al di là degli stereotipi sui calciatori incolti e gli uomini di cultura snob. Perché il calcio, come ci dice l’autore ticinese, merita di essere raccontato. Anzi deve, per renderlo più affascinante, più sorprendente, più reale; questione di punto di vista, di calarlo in un contesto sociale più ampio e più ricco, per coglierne quei riflessi secondari che lo rivelano più romantico e forse più vero. Forte dell’esordio felice con ‘Altre stelle uruguayane’, romanzo divenuto un piccolo caso editoriale in Italia, Stefano Marelli in ‘Pezzi da 90 – Storie mondiali’ (Rubbettino Editore) raccoglie 19 racconti (usciti sul ‘GdP’) che ripercorrono le 19 edizioni della Coppa del mondo di calcio, dal 1930 in Uruguay al 2010 in Sudafrica. In essi si incontrano storie vere e personaggi di fantasia, come lo è la ricostruzione degli eventi narrati. Per dirne una, il celeberrimo quarto di finale fra Argentina e Inghilterra nel 1986, pochi anni dopo la guerra delle Falkland, in cui nel giro di cinque minuti Maradona segnò i due gol forse più noti della storia del Mondiale, uno di mano e uno in dribbling; ecco, quella partita è vista su una nuvola da Nereo Rocco bevendo vino con Gigi Meroni (il più originale e bizzaro calciatore italiano, morto a 24 anni investito da un auto). E poi la finale a Berna del 1954 raccontata da un soldato che incontra Gianni Brera; o il 1990 con un massaggiatore argentino che ricorda la borraccia ‘drogata’ passata al brasiliano Branco; o il 2006 con Fernando Varela che in una bettola incontra Alejandro Finisterre, l’inventore del calcio balilla; o ancora il 1982 dello sceicco del Quwait Fahad Al-Ahmed Al-Jaber Al-Sabah, che fece annullare un gol da lui giudicato irregolare e morì ammazzato dagli iracheni nel 1990. Una lettura piacevole, per scoprire che il calcio non è solo un pallone da prendere a pedate.
Tanto per cominciare, la prima partita che hai visto di un Mondiale? Dove, con chi… insomma che ricordo è?
Certo, la ricordo molto bene. Mondiale del 1978, stavo terminando la seconda elementare. Il match era Italia-Argentina. Per via del fuso orario, iniziava molto tardi. Così mio papà mi fece dormire un paio d’ore, dopo cena, e poi venne a svegliarmi verso mezzanotte, per il fischio d’inizio. Gli azzurri vinsero grazie a un bel gol di Bettega, che era il mio idolo.
Come è nato il progetto di questo libro?
L’idea mi venne verso la fine della scorsa estate. Pensando al Mondiale che si stava avvicinando, mi dissi che non sarebbe stato male provare a scrivere un racconto per ognuna delle precedenti 19 edizioni della Coppa del mondo. Avrei scelto un personaggio, non per forza famosissimo, e gli avrei fatto narrare la propria esperienza dentro o a margine del Mundial.
In effetti in ‘Pezzi da 90’ si trovano tanti fatti e aneddoti ‘minori’: tutto frutto della tua memoria di calciofilo?
Ogni racconto è scaturito da un aneddoto di cui avevo un preciso ricordo, vuoi perché ne avevo memoria diretta (come detto, dal ’78 in avanti), vuoi perché ne avevo letto (per le edizioni precedenti a quella argentina). Poi, ovvio, c’è stato un puntiglioso lavoro di ricerca. I fatti narrati dai personaggi di questo libro sono tutti veri. Io mi sono invece inventato le situazioni, i dialoghi, le ambientazioni.
Di Mondiali si parla inevitabilmente prima, durante e dopo: perché uno scrittore dovrebbe raccontarli in un libro?
Perché il calcio narrato è affascinante almeno quanto quello giocato. L’epica del football è simile a quella della “chanson de gestes”. Gli spunti sono davvero stuzzicanti e praticamente infiniti, a saperli scovare. E poi, come dico in apertura al volume, il calcio raccontato è quello che ti fa illudere, anche se sei nato nel ’70, di aver visto giocare Alfredo Di Stefano: un bel privilegio. Senza ovviamente volermi paragonare ai mostri sacri del settore – ci mancherebbe – sono convinto che, a volte, le giocate e i gol descritti da Brera, Soriano, Valdano e Galeano sono addirittura più belli di quanto non fossero nella realtà. E poi perché il calcio non è mai soltanto se stesso, ma è sempre emanazione di un determinato contesto storico, politico e di costume. E dunque credo che non solo sia possibile raccontarlo, ma in qualche modo perfino necessario.
Quale l’aneddoto a cui non avresti mai rinunciato?
Forse la scena surreale del difensore dello Zaire che nel 1974 esce a tutta velocità dalla barriera per calciare con la massima potenza una punizione che avrebbe dovuto battere il brasiliano Rivelino. Arte, follia, poesia.
E il personaggio?
Sono affezionato a ognuno dei mie personaggi, ovvio. Ma il piacere di mettere in scena un dialogo fra Nereo Rocco e Gigi Meroni è stato davvero impagabile. Sono due personaggi che ho sempre avuto nel cuore, pur non avendoli in pratica mai visti giocare o allenare. Ma che, grazie a validissimi biografi, ho potuto conoscere e amare. E qui torniamo a ciò che si diceva prima sull’importanza e la necessità di narrare il pallone e il suo mondo.
Dunque i calciatori dicono anche cose interessanti? Se sì, dacci una prova.
Il trio delle meraviglie Kopa-Fontaine-Piantoni della Francia terza classificata a Svezia ’58 si diede parecchio da fare affinché i calciatori acquisissero un minimo di dignità e potere decisionale nelle questioni che riguardavano direttamente la propria vita. Per decenni, infatti, i giocatori erano considerati nient’altro che merce, di esclusiva proprietà dei club, che avevano sul loro destino un potere assoluto. Nella scena da me immaginata, i tre abbozzano l’idea della creazione di un sindacato a difesa dei calciatori, specie quelli meno famosi e meno pagati. Non è un caso se, dieci anni più tardi, le loro rivendicazioni vennero appoggiate e condivise niente meno che dagli studenti e dagli operai che diedero vita al Maggio francese del ’68.
E quelli di oggi sono più ricchi, più banali, più antipatici?
Non tutti, ovvio. Ma in generale credo di sì.
A proposito, un Socrates può nascere ancora? E che cosa scriverebbe su Twitter?
Vedo davvero difficile, nel calcio di oggi, la comparsa di figure intelligenti e concrete come Socrates, che nel Brasile martoriato dalle dittature riuscì, con la sua Democrazia Corinthiana, a dare segnali di una forza impressionante. Socrates era colto, impegnato, coraggioso. Al giorno d’oggi, se un calciatore prende posizioni politiche, lo fa quasi sempre nella maniera sbagliata, per fini inutili o addirittura dannosi, perfino fuorilegge. Mancando di cultura e, spesso, di intelligenza, alcuni calciatori di oggi finiscono per diventare marionette nelle mani di chi usa il palcoscenico del calcio per rivendicare e promuovere ideologie estremiste, razziste, discriminatorie. I calciatori si fanno infinocchiare, se ne escono con dichiarazioni e gesti gravissimi e si beccano dieci giornate di squalifica. E così sono costretti a saltare il Mondiale. Purtroppo, di Javier Zanetti o Damiano Tommasi ne nascono davvero pochi.
Beh, in definitiva, perché spararsi un altro Mondiale di pallone?
Per l’adrenalina, la convivialità, per scommettere una birretta sull’esito di una partita, per le sorprese che non mancano mai. Tutte le partite o un’oculata selezione? Le partite che non vedrò per lavoro le seguirò dal divano di casa o al grotto, con gli amici e i miei figli. Poi, ovvio, se mi perderò Iran-Bosnia o Russia-Corea non ne farò certo un dramma, con tutto il rispetto per queste squadre.
Vabbè, chi la vince la Coppa?
Dico chi NON la vincerà, secondo me… il Brasile.
di Claudio Lo Russo
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