Da Il Foglio del 22 ottobre
Eugene R. Black, dal 1949 al 1962, è stato il terzo presidente della Banca mondiale, creata nel 1945 con il nome “Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo” (Birs), concepita originariamente per contribuire alla ricostruzione di Europa e Giappone. L’importanza dell’esperienza di politica economica di Black alla guida della Banca mondiale, per il nostro sud e per l’Italia tutta, è di estrema attualità. Il “banchiere del mondo” è stato soprattutto un fautore della “cultura dello sviluppo” volta a convincere le élite delle aree arretrate a perseguire ambiziosi obiettivi di benessere e che si tramutò in una politica che fece bene all’Italia e all’Europa post bellica. Questa politica di “enlightenment and development” sembra oggi essersi eclissata. Secondo gli autori ciò dipende anche dal fatto che si è passati dal Keynesian consensus, che ha indirizzato gli ambienti politici ed economici del Dopoguerra, attraverso una fase di difficoltà negli anni 70 che si è tentato di affrontare e superare con politiche monetariste, al Washington consensus. Si sarebbe dunque affermata l’idea che il mercato è il solo strumento di allocazione efficiente delle risorse con, a seguire, la formazione di forti interessi globali in grado di dettare ai governi la regola dello smantellamento delle regole. Il lavoro ricostruisce per la prima volta vita e opere di Black, mettendo in risalto le interazioni con economisti e istituzioni che hanno operato nel secolo scorso ma che hanno tuttora peso e influenza sull’economia mondiale. Banchiere figlio di banchiere, Black nasce 1898 ad Atlanta, nello stato statunitense della Georgia; nel 1933 diventa vicepresidente della Chase National Bank e nel 1947 entra a far parte, prima come direttore esecutivo e poi come presidente, della Banca mondiale. Il suo background, la sua attività di banchiere e il suo stile lo definiscono come un conservatore. Pur senza condividere il fervore anticomunista del Dopoguerra, Black era preoccupato per la minaccia di diffusione del comunismo e per l’impatto negativo che questa avrebbe potuto avere sul ripristino di un funzionamento globale del capitalismo. Convinto sostenitore dei valori democratici, la prosperità economica era, per Black, il presupposto necessario per la libertà politica. Per questo motivo egli si impegnò al punto di identificarsi personalmente negli obiettivi della Banca mondiale. Black riteneva che le risorse più importanti per lo sviluppo dovessero provenire dai paesi in via di sviluppo stessi, attraverso l’adozione di idonee politiche fiscali e di politiche di spesa che avrebbero lasciato ai governi risorse adeguate da allocare per lo sviluppo. La Banca mondiale iniziava a riconoscere, già allora, l’importanza di elementi che, oltre al miglioramento tecnologico, ormai sono comunemente accettati come essenziali per lo sviluppo economico, ovvero: riforma della politica, cambiamenti strutturali, miglioramento della governante, sovrappopolazione, istruzione, capacità istituzionale ed efficienza della pubblica amministrazione. Il saggio articola la vicenda di Black in tre parti: la semina (sowing) la fioritura(blossoming) e la raccolta (reaping). La terza parte, per noi di grande interesse,è dedicata ai rapporti con l’Italia, dove si instaurano legami speciali con gli eredi del sistema di Alberto Beneduce e si dialoga con i grandi costruttori dell’economia italiana postbellica: Alcide De Gasperi,Luigi Einaudi, Ezio Vanoni e Donato Menichella. Con quest’ultimo, governatore della Banca d’Italia, Black sperimenta una collaborazione tra Birs e Cassa per il mezzogiorno, entrambe di nuova costituzione. Il testo documenta i problemi della ricostruzione italiana nel Secondo dopoguerra che, in parte irrisolti, hanno condotto a squilibri strutturali dalle durature conseguenze su tutta la società.
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Altre Rassegne
- Il Mattino 2014.10.06
Il banchiere Black, il Sud e la cultura dello sviluppo
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Il banchiere del mondo