L’Editto di Granada, emanato nel 1492 da Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia per mantenere l’autorità della corona spagnola nei territori di propria appartenenza, porta all’espulsione delle comunità
ebraiche radicate nell’isola da un millennio circa, condannando all’oblio una presenza osteggiata da discriminazioni religiose e accuse di pratiche illecite nel settore dell’economia. Dalla seconda metà del diciottesimo secolo il torto subito dall’ebraismo siciliano viene riparato dagli storiografi locali, a cominciare da Giovanni Di Giovanni passando per i fratelli La Gumina (Bartolomeo e Giuseppe) e Isidoro La Lumia, fino al contributo dello studioso pugliese Carmine Fontana dopo lunghe e faticose ricerche di archivio. Riproposta nel volume «La città sepolta. Politica e istituzioni degli ebrei a Catania nel XV secolo» (edizioni Rubbettino, 250 pagine, euro 18) a cura di Andrea Giuseppe Cerra, dottore di ricerca presso l’Università di Catania, la tesi di laurea dissertata da Fontana agli inizi del Novecento ripercorre gli ultimi ottant’anni della comunità ebraica all’interno del capoluogo etneo durante il tardo medioevo. Le caratteristiche topografiche della giudecca, la pratica del bilinguismo, le professioni svolte in campi differenti (medicina, commercio, finanza) e i rapporti istituzionali con i regnanti compongono un quadro storico di rilievo per la completezza
della ricerca storiografica, come evidenziato nella prefazione firmata dallo storico israeliano Asher Salah. Nuovi metodi di studio si prospettano dunque su una realtà scampata alla damnatio memoriae, non solo oggetto di meritori approfondimenti ma anche tassello centrale di un mosaico a tre punte che svela al mondo le sue infinite peculiarità.