Da Il Sole 24 Ore – 19 agosto 2012
Nel giugno del 1948, Ludwig Erhard, allora responsabile dell’amministrazione economica nella Germania occupata, ricevette una telefonata preoccupata dal comandante militare americano, il generale Lucius Clay. I collaboratori di Clay avevano appreso che Erhard si stava preparando ad abolire i controlli sui prezzi e le direttive sui razionamenti allora in vigore. «Il generale Clay gli disse: “Professor Erhard, i miei consiglieri mi dicono che lei sta per fare un grosso errore”. Al che Erhard rispose: “così dicono anche i miei”». Il «grosso errore» di Erhard, poi appoggiato da Clay, piantò il seme di quello che ancor oggi ricordiamo come il miracolo economico tedesco. Una singola decisione mise in moto un motore potente. Grazie alle deregolamentazioni di Erhard, «le carestie finirono e il mercato nero scomparve praticamente in una notte». Nel decennio successivo il tasso di crescita fu in media dell’8% annuo. Le idee degli economisti e dei filosofi politici, così quelle giuste come quelle sbagliate, sono comunemente più potenti di quanto non si ritenga.
The Clash of Economic Ideas. The Great Policy Debates and Experiments of the Last Hundred Years di Larry White, professore di economia alla George Mason University, ne fornisce abbondanti prove. White legge la collisione delle idee economiche nel secolo scorso come uno scontro fra Hayek e Keynese gli epigoni più o meno consapevoli dell’uno e dell’altro.
White è un ammiratore di Hayek, ma presenta con una certa simpatia anche i suoi avversari intellettuali. Oltre che un bravo studioso, White è un narratore di talento: ogni capitolo del libro ha inizio con un episodio curioso, che rende più umani e interessanti i tanti protagonisti di questa lunga
battaglia. Di Ronald Coase ricorda come venne sottoposto a una sorta di inquisizione, all’Università di Chicago, per le sue riflessioni sulle esternalità: e di come riuscì a convincere i colleghi, inclusi ossi duri come Friedman e Stigler, dopo una lunga discussione. Di Wilhehn Roepke, l’ispiratore delle politiche di Erhard, rammenta la volta che si trovò due SS alla porta: oppostosi al nazismo sin dal principio, riuscì a fuggire in Turchia.
The Clash of Economic Ideas è un corso di storia del pensiero economico del Novecento in un solo volume, ma occasionalmente porta indietro le lancette dell’orologio e si appella all’autorità del convitato di pietra di ogni dibattito economico: Adam Smith. Un’autorità non certo universalmente
riconosciuta. La deregolamentazione di Erhard trovò un grande oppositore in John Kenneth Galbraith, che fu pure un fondamentale sponsor della pianificazione economica dì Nehru in India. In generale, è più facile per quegli economisti che insistono sulle virtù dell’intervento pubblico trovare orecchio compiacente nella classe politica: le loro prescrizioni, del resto, sono meglio allineate con l’interesse di chi governa. Ogni tanto la storia accarezza la mano invisibile.
Il miracolo economico tedesco consistette nella de-nazificazione dell’economia attraverso la liberalizzazione. Un tassello fondamentale fu la riforma valutaria: il nuovo deutsche mark, che sostituì il reichsmark, con una sostanziale riduzione della base monetaria e che proprio per questo frenò l’inflazione rampante e rassicurò i tedeschi sulla solidità dei loro beni e dei loro risparmi.
Di Erhard, il presidente della Bce Mario Draghi ha ricordato recentemente una frase significativa: «Un’economia sociale di mercato non è possibile senza una costante politica della stabilità dei prezzi». Gli Ordoliberali, gli studiosi che ispirarono le politiche di Erhard, rammentavano il crollo di Weimar e avevano compreso che le uova del nazional-socialismo erano state covate dall’inflazione. Pur essendo in disaccordo fra di loro circa i mezzi tecnicamente più appropriati, condividevano il principio che dovessero esserci dei limiti all’espansione monetaria da parte della banca centrale. Le idee hanno conseguenze: «Il marco tedesco mantenne un potere d’acquisto più stabile di qualsiasi altra moneta dell’Europa post-bellica» e, in certa misura, la sua storia ha condizionato quella dell’ euro, nonostante la Germania abbia sotto altri aspetti ripudiato l’Ordoliberalismo. Le idee di Hayek trovarono interpreti anche altrove in Europa. Nella Autobiografia di Hayek che ha pubblicato per Rubbettino, Lorenzo Infantino, infaticabile studioso e promotore del pensiero della scuola austriaca, ha completato l’originale Hayek on Hayek con un suo saggio che esamina gli scambi epistolari fra Hayek e alcuni studiosi italiani (quali Einaudi, Costantino Bresciani-Turroni e Bruno Leoni). Hayek finì la propria carriera a Friburgo, in una Germania che almeno in parte aveva fatto propria la sua lezione. Se Luigi Einaudi nell’immediato dopoguerra giocò un ruolo paragonabile a quello di Erbard, né la moneta stabile né la politica della concorrenza ebbero in Italia un presidio costituzionale; come invece avvenuto in Germania. White argomenta persuasivamente che i grandi “esperimenti” del secolo passato, dalle nazionalizzazioni in Russia alle privatizzazioni della Thatcher, sono il risultato più o meno spurio del pensiero degli economisti. Non si domanda però come effettivamente funzioni la cinghia di trasmissione fra il mondo di Keynes e quello di Roosevelt: materia, speriamo, del suo prossimo libro.
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