Sebastiano Bavetta, Pietro Navarra
Il vantaggio delle libertàCome costruire la società aperta in Italia
da Il Corriere della Sera – Ed. Milano del 12 Dicembre
A Sant’Ambrogio il cardinale Scola ci ha esortato a «recuperare l’operosità dei padri». La crisi che stiamo attraversando ha radici anche culturali. È la crisi della cultura dello Stato mamma, che sotto forma di debito pubblico lascia ai figli il conto da pagare. Questa non è la cultura del solo ceto burocratico: ma anche di ampi settori della nostra società, che da anni offrono il proprio consenso a chi dà loro protezione.
In un libro appena uscito, «Il vantaggio delle libertà» (Rubbettino), per venire a capo del declino italiano Sebastiano Bavetta e Pietro Navarra si interrogano sul diverso grado di «autonomia percepita» nelle regioni italiane. Il fatto che una persona sia convinta o meno di essere «autonoma», sia consapevole cioè di disporre di diverse opzioni tra cui scegliere e si senta responsabile delle proprie scelte, influenza il suo comportamento come attore economico. Per esempio la nostra è una Regione, secondo i due economisti, dove le persone si sentono abbastanza «autonome» e parallelamente nella quale è assai elevata la frazione di lavoratori autonomi sul totale del reddito prodotto.
A più «autonomia» corrisponde anche una maggiore disponibilità ad accettare l’esistenza delle diseguaglianze, che si presume siano dovute in prima battuta al merito individuale. Se volete, una società più «autonoma» è una società nella quale lo spirito imprenditoriale è capillarmente diffuso, e pertanto si guarda al successo con ammirazione anziché con invidia. Questa ammirazione deriva dalla consapevolezza che chi ha molto, di norma, ha fatto molto.
Chiunque sia mai entrato in uno dei suoi supermercati sa che la grande ricchezza di Bernardo Caprotti si deve alla straordinaria capacità di venire incontro ai bisogni dei consumatori, offrendo su larga scala un servizio di qualità elevata. Il «merito» non è più una categoria astratta: si realizza nel momento in cui ciascuno riesce a dare agli altri beni e servizi che essi reputano preziosi.
La cultura politica egemone, nel nostro Paese, ha proposto altri valori. L’idea di una società libera, operosa, nella quale ognuno si sente padrone delle proprie scelte è stata liquidata come un’utopia da bottegai. Ma non serve la saggezza del cardinale Scola per accorgersi che quando somigliavamo di più a quell’utopia, nel secondo dopoguerra, abbiamo costruito ricchezza e prosperità per due generazioni. L’operosità non viene dal sangue: via Paolo Sarpi, con le sue botteghe sempre aperte, è oggi la via più milanese di Milano. C’entra invece un patrimonio di valori che bisogna riscoprire: l’ammirazione per il lavoro ben fatto, la passione (perché di passione si tratta) per le nuove iniziative, l’ossessione d’imparare dagli errori e di valorizzare le intuizioni giuste.
Quando sono i conti pubblici ad ammonirci che non è dallo Stato che potranno venirci benessere e ricchezza, riscoprire l’operosità dei padri non è solo una battaglia culturale: è una sfida per la sopravvivenza.
di Alberto Mingardi
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