Da Domenica (Il Sole 24 Ore) del 27 marzo
Ci sono autori che nascono con il genio della polemica. Nel senso che hanno bisogno dell’avversario come della lamina per tirare a lucido i concetti. Quando poi l’avversario si aggrava nel nemico, allora state pur certi: quegli autori si trovano proprio nel centro della loro scena. E da lì mandano faville. Con questo suo ultimo libro – L’Occidente e i suol nemici – Luciano Pellicani conferma di essere nato polemico. Polemico, si badi, non polemista. La distinzione non è speciosa. Il polemista, pur di riuscire, non rinunzia a scavallarsi dietro aggettivi furiosi scagliati a man salva sulla tesi avversaria. Il polemico no. Il polemico, proprio come la scintilla in una dinamo, ha bisogno dell’altro, del radicalmente altro da lui, solo per mettere in moto la macchina dei suoi pensieri. Ma avviatela che l’abbia, non c’è nulla che lo tiri fuori dal giro di un discorso scientifico. Che per essere scientifico né indulge a imprecazioni moralistiche né si abbandona a lamentazioni da Geremia profeta. Vedete per esempio come Pellicani la mette con i nemici esterni della civiltà liberal-capitalistica, con i jihadisti per dire. Pazzi? Criminali? Nulla di tutto questo. O forse sì, c’è anche questo; ma solo come la schiuma velenosa liberata da un rigurgito che opera assai più giù, più nel profondo, là dove tutto è rimescolato dagli spasimi del risentimento. Ecco: il risentimento. Il terrorismo islamico è una tipico fenomeno da “risentito”, da uomo cioè che, investito dalla forza d’urto della modernità, ha perduto il suo mondo di ieri, e così – lacerato, ferito dentro – si trova a vivere in un ambito che non è più il suo, che sperimenta come ostile e contro il quale finisce per reagire con la fiammata della violenza assassina. Tutto dunque nasce da lì, dalla modernità, o più precisamente, come avverte Pellicani, dall'”istituzione centrale” della modernità: il mercato. Si dirà: ma che c’entra il mercato col terrorismo islamico? C’entra. Eccome se c’entra! Perché è proprio sotto la spinta di questo formidabile propellente che la società industriale sommerge l’universo-mondo sotto i flutti delle sue merci e delle sue tecnologie. Si dà il caso, però, che merci e tecnologie non siano oggetti freddi e disanimati. Dietro di essi, magari dentro di essi, palpitano gli stili di vita, i valori e le credenze che li hanno prodotti. Che sono le credenze e i valori di una civiltà sperimentata nell’arte della separazione, prima fra tutte quella tra politica e religione. Precisamente la separazione che è estranea alle collettività sature di sacro e dove la voce di Dio esige “che ogni cosa sia sottoposta alla sua giurisdizione”. Eccola qui l’incompatibilità di principio tra l’Islam e l’Occidente. Una incompatibilità che potrebbe sciogliersi con il trionfo degli “erodiani”, di coloro cioè che non oppongono un roccioso rifiuto all’intrusione della modernità ma che, anzi, soggiogati dalla potenza stessa della sua carica espansiva, la prendono a misura delle loro regole di condotta (è già avvenuto con Ataturk in Turchia). Allo stato, però, niente lascia presagire una simile soluzione: la voce degli “erodiani” è ancora troppo flebile e comunque, per ora almeno, è sopraffatta dal grido che prorompe dall’animo degli “zeloti” (“erodiani” e “zeloti” sono termini mutuati dal magistero di Toynbee), di quelli cioè che vivono come un’offesa inescusabile lo strazio delle loro tradizioni e la violenza sulle loro radici. Donde l’incendiaria aggressività dei fondamentalisti. Come finirà?
L’autore non dice. E però, ad una ruga della pagina, ad una increspatura del ragionamento, aerea, impalpabile, si avverte una nota di pessimismo più fonda di quando Pellicani viene a discorrere dei nemici “interni” alla società liberale (c’è anche questo nel saggio ed è lettura che si fa di gusto). Comunque sia, quella domanda resta così, sospesa al gancio di un interrogativo che l’Autore lascia volutamente dondolare tra l’una e l’altra soluzione. Pellicani, del resto, è studioso troppo intellettualmente probo per nascondere l’impossibilità di conoscere con il lampeggiamento degli oracoli. Il che, peraltro, se ci fa più vicino lo studioso, ci rende anche più caro l’uomo.
di Gaetano Pecora
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