Dall'incontro di Pralognan alla riunificazione con il PSI 1956-1968
L’azione dei socialisti democratici del PSLI – poi ribattezzato PSDI – fu fondamentale nella ricostruzione dell’Italia nel secondo dopoguerra, come ricordai in un recente articolo, rifacendomi al saggio del prof. Michele Donno “Socialisti democratici”, edito da Rubbettino (https://amoreeliberta.blogspot.com/2023/10/il-contributo-socialista-democratico.html).
Il prof. Donno ha proseguito le sue ricerche attraverso il suo “I socialisti democratici italiani e il centro-sinistra”, edito sempre da Rubbettino, nel quale viene spiegato come il Partito Socialista Democratico Italiano diede un forte contributo quale traghettatore del Partito Socialista Italiano di Pietro Nenni nei governi presieduti dalla DC, dal PRI e dallo stesso PSDI.
Nel solco della ricerca di una riunificazione socialista, consumatasi nel 1947, il PSDI, non sempre concorde con la DC e spesso rissoso nei confronti del PLI, fece il possibile per staccare il PSI dall’abbraccio mortale con il PCI e portarlo nell’area di governo, in modo da costituire un centro-sinistra organico, atto a portare avanti quelle riforme sociali che attendevano l’Italia da lungo tempo.
E ciò accadde nel dicembre del 1963, con il governo Moro, sostenuto, oltre che dalla DC, dai socialisti, dai socialisti democratici e dai repubblicani.
Un governo che vide il leader socialista Pietro Nenni alla Vicepresidenza del Consiglio e il leader socialista democratico Giuseppe Saragat al Ministero degli Esteri.
Un governo che si porponeva, fra le altre cose, di far eleggere il Parlamento europeo a suffragio universale, di sostenere il processo di distensione fra USA e URSS e, con il socialista democratico Roberto Tremelloni al Ministero delle Finanze, di razionalizzare la spesa pubblica, alleggerire la burocrazia e rilanciare produzione e occupazione.
Le basi di un riavvicinamento fra il PSDI e il PSI e di un avvicinamento di quest’ultimo, all’area governativa centrista, si videro già nel XXXII Congresso del PSI di Venezia nel febbraio 1957 e nel plauso verso i partiti socialisti dell’allora Papa Giovanni XXIII, il quale aprì la Chiesa cattolica alle istanze dei più deboli, all’emancipazione delle classi lavoratrici e alla distensione a livello internazionale fra le superpotenze.
Un PSI che, pur non rinunciando affatto alla sua base anticapitalista, divenne critico nei confronti di un PCI sempre più eterodiretto da Mosca e sempre meno alla ricerca di una sua autonomia.
L’autonomismo socialista divenne, infatti, la bandiera di Nenni e il PSDI si adoperò quale “cerniera” fra il PSI e una DC che, pur conservatrice su molte tematiche, veniva tenuta a bada proprio dalle posizioni più avanzate dei socialisti, sia in ambito economico-sociale che civile e democratico.
Come ricorda il prof. Donno nel suo saggio, l’azione dei socialisti democratici già nei governi De Gasperi e Fanfani fu molto avanzata e portò alla nazionalizzazione dell’energia elettrica; a una legge antimonopolistica; al potenziamento della Cassa del Mezzogiorno; a una più equa e rigorosa politica fiscale; alla lotta contro la speculazione in Borsa; a un programma di edilizia popolare; a una riforma del sistema previdenziale; a una riforma agraria in favore della piccola proprietà contadina; all’obbligo scolastico fino al quattordicesimo anno di età e all’affermazione della scuola laica.
Tutto ciò pur fra mille difficoltà, considerando la politica spesso clientelare e poco rigorosa operata dalla DC, che molto spesso mise in crisi il rigorosissimo Ministro socialista democratico Tremelloni, il quale occupò spesso, in quegli anni, ministeri a carattere economico e, nel terzo governo Moro, il ruolo di Ministro della Difesa.
Tremelloni, infatti, puntò molto sulla stabilità monetaria, la razionalizzazione della spesa pubblica, la sburocratizzazione e la programmazione economica e l’efficienza della pubblica amministrazione fu, per tutta la sua vita di Ministro e politico, la sua vera missione.
Non a caso, come ricorda il prof. Donno, Tremelloni si allontanò dalla vita politica in un periodo in cui osservò che il clientelismo e la “finanza allegra” tendevano a prevalere rispetto al pragmatismo e alla buona amministrazione.
Gli Anni ’60 saranno, peraltro, periodo in cui il PSDI aumenterà i suoi consensi, passando dal 4,5% degli Anni ’50, al 6%.
E, come ricorda il saggio del prof. Donno, gli anni del primo centro-sinistra organico, furono anche l’epoca del sostegno dell’Italia ai Paesi africani e del Terzo Mondo; della ricerca di una distensione a livello geopolitico fra le potenze; di ricerca di un policentrismo (oggi si direbbe multipolarismo) che garantisse equilibrio e benessere per tutti.
Il 28 dicembre 1964, per Saragat, giunse l’elezione a Presidente della Repubblica, facendo convergere – dopo numerose peripezie politiche – i voti, non solo dei socialisti democratici, ma anche del PSI, del PRI, della DC e del PCI.
Saragat, nonostante il nuovo ruolo ricoperto, non abbandonò mai l’idea di riunificare il PSI e il PSDI, anche per contrastare da una parte l’azione governativa conservatrice della DC al governo e quella del PCI all’opposizione, evitando che quest’ultimo si ponesse a capo del movimento operaio in Italia.
Fu così che, il 30 ottobre 1966, a Roma, nacque il Partito Socialista Unificato (PSU), ovvero il PSI-PSDI Unificati, unendo, nello stesso simbolo, quello del PSI con il libro aperto, la falce e martello e il sole nascente e quello del PSDI con il sole nascente.
Il nuovo partito, ad ogni modo, percorso comunque da continui contrasti fra i due partiti, alle successive elezioni del 1968 conquistò appena il 14,4% alla Camera e il 15,2% al Senato, ovvero meno della somma dei due elettorati storici (e infatti vennero persi ben 29 seggi, molti dei quali conquistati dal neonato Partito Socialista di Unità Proletaria, che ottenne il 4,45%).
Inutile dire che, tale sconfitta, portò allo scioglimento di tale partito e al ritorno nei ranghi dei rispettivi partiti socialisti.
Occasione mancata che, probabilmente, sarà sanata dall’elezione di Bettino Craxi a Segretario del PSI nel 1976. Questi, infatti, propose al contempo una politica di riformismo, senza rinunciare ai valori fondanti del socialismo originario. Occasione colta da molti esponenti del PSDI che, alla fine degli Anni ’80, confluiranno nel PSI di Craxi, fra i quali Pier Luigi Romita e Pietro Longo.
Ma di questa storia, probabilmente, mi auguro parlerà un futuro saggio dell’ottimo prof. Michele Donno, a conclusione delle sue ottime ricerche sul socialismo democratico italiano.
Altre Rassegne
- Libero Quotidiano 2015.02.02
Saragat e Nenni agli albori del centrosinistra
di Simone Paliaga - Il Corriere della Sera 2015.01.14
Socialdemocrazia nel dimenticatoio
di Antonio Carioti