Da Panorama del 4 giugno
Quando il 20 maggio ha conquistato Palmira, l’Isis aveva assicurato che non avrebbe distrutto il sito archeologico della città. Il 27 maggio, invece, un comandante dell’autoproclamato Stato islamico ha annunciato alla radio siriana che i miliziani distruggeranno le statue ma conserveranno i monumenti storici e le rovine. Noi sappiamo però che molti di quei reperti prenderanno un’altra strada.
Il contrabbando di opere d’arte provenienti dai saccheggi e dalle distruzioni dei siti archeologici e dei musei in Siria, Iraq, Libia, Egitto, per mano degli integralisti islamici, non si fa vedere, non dà notizia di se stesso. C’è quello a buon mercato che passa dalle compravendite su Facebook ed eBay; e c’è quello più ricco, che ha un percorso molto più tortuoso e un giro d’affari di oltre 2 miliardi di euro l’anno. Grazie ai servizi segreti lo abbiamo scoperto. Eccolo qui.
I tombaroli e i ladri, nei Paesi in guerra, razziano con bulldozer e pale le aree archeologiche. I siti egiziani o le città mesopotamiche sembrano formaggi gruviera da quanti buchi clandestini ci sono. I reperti vengono raccolti dai trafficanti e portati a Beirut, in Libano, che è il vero centro di smistamento. Dal porto della città partono ogni anno un milione di container su nave, cioè 2.740 al giorno. I controlli sono saltuari: passa cioè ogni cosa.
Navi e camion contengono materiali vari: abbigliamento, prodotti chimici, macchinari agricoli, bancali di frutta secca. Ed è nei doppi fondi di container e tir che vengono messe le antichità. Le dogane portuali sono colabrodi, ispezionano a campione, dunque vengono facilmente superate. Ma soprattutto i tir la fanno franca: molti di essi utilizzano il Carnet tir, un documento internazionale che consente di avere controlli solo all’inizio del viaggio e a destinazione. Per i trafficanti è l’ideale, grazie alla debolissima vigilanza l’impunità è garantita. Da Beirut passano poi per i Balcani e nel percorso scaricano le opere saccheggiate. Gli spalloni le prendono e le portano in Svizzera, dove la legge sul mercato nero è morbida. Compiacenti storici dell’arte confezionano certificati di garanzia e provenienza per superare il reato di ricettazione attivo in molti Stati.
Così le opere d’arte, da illegali, diventano smerciabili, si impennano nel prezzo, e finiscono nelle case d’asta londinesi, nei facoltosi musei americani e dagli antiquari. Anche i musei e le case d’asta, i cui nomi sono ormai noti alle autorità, diventano così insospettabili e indiretti finanziatori del contrabbando e del terrore.
di Luca Nannipieri
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