da ilsussidiario.net del 1 Dicembre
La mafia è una malattia, un cancro inestirpabile. Cambiano le società, le culture, i governi. La mafia stessa cambia pelle e faccia, ma rimane con diverse e più truci maschere. Di una malattia bisogna fare l’anamnesi, la diagnosi e individuare una terapia. Tre momenti necessari che costituiscono l’ossatura di “IrRispettabili. Il consenso sociale alle mafie”, scritto da due magistrati in campo da trent’anni, Alfredo Mantovano e Domenico Airoma, il primo con una nutrita esperienza di parlamentare e sottosegretario agli Interni. Vale a dire conoscono ciò di cui parlano, hanno in archivio decine di casi, più e meno noti, citati con puntiglioso rispetto della cronaca.
Il libro si concentra, come gioca il titolo, sulla presenza “rispettabile” degli uomini “d’onore”, appunto, forti di un consenso capillare nei loro territori e non solo, dovuto alla paura, e non solo. “Ora, chi ci protegge?”, gridano contro i poliziotti gli abitanti di Casapesenna, cuore del Casalese, quando arrestano Michele Zagaria. “Massimo, torna presto, vi vogliamo bene”, è il conforto dei vicini a Massimo Pasimeni, leader della criminalità mafiosa brindisina, catturato con signora nella sua abitazione di Mesagne. I mafiosi “proteggono” dalla criminalità comune, offrono posti di lavoro, sostengono la comunità. Per questo la morte del padrino di cresima di Matteo Messina Denaro, suo protettore nella latitanza, viene celebrata in cattedrale, a Mazara del Vallo, con corteo di autorità locali e parlamentari. Per questo se lasciano il carcere sono riaccolti con sollecitudine e tappeti rossi, come Salvatore Padovano, capo storico della Sacra Corona Unita, che si mette a scrivere libri, presentati però da docenti universitari in conferenze patrocinate dalle amministrazioni comunali.
È stupefacente, per chi non viva e conosca certe zone d’Italia, come il consenso si diffonda serpeggiando per diverse vie, con una capacità comunicativa invidiabile dai giusti, attrattiva e contagiosa: attraverso le canzoni neomelodiche, ad esempio, che apertamente coi loro testi elogiano “‘o capoclan” e le “femmine di camorra”; attraverso l’idiozia di certe fiction antistoriche che mitizzano i delinquenti, come in “Pupetta. Il coraggio e la passione”, dove la bella Manuela Arcuri presta il suo volto a una pluricondannata omicida. È doloroso sapere che ancor oggi i padrini controllano le cerimonie religiose, le sacre rappresentazioni, le feste popolari, con la benedizione di sacerdoti e prelati; che fanno di ameni santuari le casematte del loro potere, com’è stato per la Madonna di Polsi, nella calabrese e famigerata San Luca.
È inquietante sapere che centinaia di ragazzini imparano a tirare a pallone in squadre di proprietà dei mafiosi e che tanti loro idoli calcistici vivono a fianco e sulle spese di boss impresentabili.
“C’è un bisogno insopprimibile di mafia nella società siciliana” e non solo in quella: ormai la mafia esula dal suo meridione, attecchisce là dove l’uomo è “privato della famiglia, abbandonato dalle istituzioni sociali e politiche, deluso dagli uomini di Chiesa”.
Si può ancora fare qualcosa e in che direzione? Confische dei beni, che bruciano più della galera, assegnazioni intelligenti e rapide di soldi e terreni e case sottratte alla criminalità, destinandole senza labirinti burocratici a associazioni garantite. Sostenere a tal fine l’Agenzia Nazionale e le organizzazioni antiracket, ripetere da ogni cattedra, da ogni altare le parole toccanti e forti di Giovanni Paolo II, di Francesco, le testimonianze dei martiri civili e religiosi, intensificare l’educazione attraverso le scuole, le palestre, le parrocchie, perché “Quando qualcuno prova a scendere in campo e giocare dalla parte giusta i risultati arrivano”.
di Monica Mondo
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