Da Milano Finanza del 11 giugno
Con la Lira l’Italia stava meglio? Indubbiamente il cambio della moneta ha inizialmente prodotto una perdita del potere d’ acquisto: ma ciò a causa di un euro forte o di una lira debole di un Paese debole? ( …) Grazie all’euro abbiamo più certezza di stabilità e più sicurezza per i nostri risparmi. Grazie all’euro si è frenata la corsa dei prezzi e il picco dei tassi di interesse. I veri mali dell’Italia sono altri: certamente un abnorme debito pubblico e una incapacità quasi patologica di far pagare le tasse a tutti.
Lontani dalle polemiche e alla ricerca soltanto della verità storica e della chiarezza economica, dobbiamo domandarci se l’euro è per l’Italia la causa principale della crisi economica e sociale. Indubbiamente il cambio della moneta ha prodotto una perdita del potere d’acquisto: Giovanni Malagodi, insigne economista e statista, mi insegnò che tutti i cambiamenti delle monete rischiano di produrre un calo del potere d’acquisto.
(…) Alla fine degli anni Ottanta il debito pubblico italiano era di circa 590 miliardi di euro (…) alla fine del primo decennio degli anni Duemila ha raggiunto i 1.770 miliardi di euro, ora ha sfondato quota 2 mila. Negli anni il tasso di sconto è profondamente cambiato, incidendo in modo determinante sul costo del debito pubblico tramite i tassi di emissione dei Bot, dei Btp e degli altri titoli di Stato. (…) Gli anni Novanta, sempre con la lira, si sono aperti con il tasso di sconto al 12,5%, per salire progressivamente al 15% nel 1992 e rimanere sopra al 10% fino all’estate 1993 quando il governo Ciampi iniziò ad assumere la moneta unica europea come obiettivo strategico. Insomma, il debito pubblico italiano continuava smisuratamente a crescere, mentre il costo di emissione dei nuovi titoli di Stato iniziava a calare. Infatti il tasso di sconto sostanzialmente calava man mano ci si avvicinava alla piena realizzazione del Mercato unico europeo e della Moneta unica, raggiungendo, a fine anni Novanta, addirittura soltanto il 3%. Gli anni Duemila (quelli dell’ euro) hanno visto delle minori fluttuazioni del tasso di sconto, attestato ai livelli storicamente minimi (…) progressivamente fino a quasi zero. Quindi, il debito pubblico italiano, sempre in crescita, è costato progressivamente meno negli anni dell’euro, rispetto a quelli della lira, avvantaggiandosi della maggiore solidità e credibilità internazionale della moneta comune. Negli ultimi anni, in presenza di bassissimi tassi, il costo del denaro in Italia era risalito (poi parzialmente ridotto) a causa dello spread che ha aggravato il costo dei titoli di Stato italiani per il rischio Italia. Dalla ricostruzione dei dati della storia economica del debito pubblico e dei tassi d’interesse prima con la lira e poi con l’euro, si evince che la principale palla al piede dell’Italia è il sempre crescente debito pubblico, che è la causa della sempre più alta tassazione sulle produzioni e sui redditi italiani. L’altra palla al piede che grava sull’Italia, e in particolare sugli onesti, è la drammatica ed enorme evasione fiscale in un clima di inammissibile anche piccola illegalità diffusa. Insomma, se l’euro venisse abbandonato per tornare alla lira e ai suoi alti tassi, il costo del debito pubblico italiano esploderebbe con conseguenze gravissime e salirebbe anche drammaticamente il costo del denaro per le imprese e per le famiglie. Emerge, quindi, nitidamente che nel Mercato unico europeo, il nostro Paese è fortemente penalizzato da un drammatico livello di debito pubblico e da una gravosa tassazione che penalizza le produzioni e le famiglie italiane. Perciò occorre operare con coraggio e convinzione innanzitutto per la riduzione progressiva del debito pubblico, mai dimenticandosi come e quando esso è stato gravemente accumulato.
Di Antonio Patuelli
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