Da Il Denaro del 16 maggio
Il disposto è scombinato. Nel senso che il doppio colpo portato all’esile corpo del Sud minaccia di mandarlo al tappeto e di lasciarvelo per ben oltre i dieci secondi del KO. Speriamo non per sempre.
Al martellante destro della Svimez che rimarca con puntualità le mancanze del governo centrale e l’egoismo del nord che resta ricco si aggiunge il gancio sinistro tirato per Rubbettino (Chi ha cancellato la Questione meridionale?) da Mariano D’Antonio che addossa gran parte della responsabilità a noi stessi e al nostro miope opportunismo.
Dunque, se il resto del Paese non ha alcuna intenzione di sostenere la crescita del Mezzogiorno o, almeno, di intervenire per frenarne il declino, gli ex regnicoli fanno di tutto per meritarsi diffidenza e ostilità perseverando nelle (amorali) pratiche familistiche che da sempre le sono contestate.
L’uno-due è servito. Siamo noi la prima causa del nostro male e non possiamo pretendere di essere capiti e aiutati – ma non c’è pericolo che questo possa accadere oggi in Italia – se non decidiamo di dotarci di personale rappresentativo decoroso e non modifichiamo comportamenti che ci condannano all’isolamento.
D’Antonio offre una serie di esempi per sostenere le sue tesi e non si può dire che abbia torto. Chiunque leggendo la ricerca può riconoscere che purtroppo la sventola c’è tutta. Troppa auto indulgenza corre il rischio di tenerci definitivamente fuori del consesso civile con tutto quello che consegue in termini di (im)possibile riscatto.
D’altra parte, gli atti predatori perpetrati ai danni del Sud non si possono negare. Quello che la Svimez scrive e documenta è la realtà dei fatti. Con l’autorità del governo e la forza dell ‘economia si dispone ai nostri danni una continua spoliazione di risorse e prerogative. E non c’è dubbio che sia stupido da parte nostra fornire tutti gli alibi possibili.
La tesi dominante – oltre le parole che si spendono nei pubblici consessi – è che il Mezzogiorno non meriti nessuna cura perché naturalmente incapace di riceverla. Tutto quello che si destina alle regioni meridionali (vedi fondi europei) è condannato a perdersi in clientele e criminalità. Meglio togliere anche quello che spetta.
A chi tocca cambiare le cose? Quando e come riusciremo a comunicare che non meritiamo pugni in faccia ma un rinnovato rispetto? Nel frattempo, anche in questa campagna elettorale, cerchiamo di non andare al tappeto da soli.
di Alfonso Ruffo
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